26 – Lettera a Gambarara

Numero

Morse americano

(dal 1844 ad oggi)

Morse internazionale

(dal 1852 ad oggi)

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Chiarissimo Gambarara,

riprendo l’argomento degli equivalenti fonetici introdotto un anno fa – senza purtroppo innescare alcun dibattito scientifico, malgrado l’esplicito invito del De Mauro – e in particolare quello della composizione dei numeri nell’alfabeto Morse (vedi Morse News 4, Morse News 21 e AG 14, cap. 6 e nota 39).

Secondo lo storico della telegrafia Tony Smith (vedi Morsum Magnificat N. 50, Feb. 1997) il metodo delle mnemoniche fu adottato dal British Post Office sin dal 1869, quando con la nazionalizzazione dei telegrafi si dovettero addestrare al sistema Morse gli impiegati del telegrafo ad aghi (vedi Morse News 107 e 108). All’inizio il metodo si rivelò efficace per memorizzare il codice, ma con l’aumentare della velocità di lavoro divenne un grosso handicap perché la necessità di associare nella mente le mnemoniche era di intralcio al riconoscimento istantaneo dei singoli segnali, la curva di apprendimento non progrediva (plateau) e per poter compiere progressi le mnemoniche dovevano essere coscientemente rimosse.

Esaminando con attenzione le menzionate tabelle di mnemoniche notiamo che i segnali costituiti solo da punti (E, I, S, H) o solo da linee (T, M, O) e i numeri non vengono “prosodizzati” con equivalenti fonetici ad “isomorfismo strutturale” (Wertheimer). Per le lettere si forniscono solo parole diciamo di spelling, che iniziano con la relativa lettera (Earwigs, Infest, Summer, Houses, Turnips, Make, Oxen), mentre per i numeri non viene dato alcun “sussidio della memoria”. F. S. Keller, che si occupò a fondo di questo problema (Journal Applied Psychology, 1943, cinque articoli) precisa che questo aiuto mnemonico per i numeri non è necessario.

Eppure i numeri sono segnali Morse senz’altro più importanti delle lettere dell’alfabeto! A parte il fatto che il primo codice Morse (1832) era solo numerico (a vocabolario, vedi Lucidi News 25 e AG 14) e che nella pratica ogni “enclave” Morse continua ad adottare numeri abbreviativi (magari non codificati ufficialmente), basta pensare ai codici cifrati – militari, diplomatici, ecc. – costituiti da lettere e numeri mischiati (in genere in gruppi di cinque unità) che bisogna trasmettere e ricevere con la massima attenzione. Un vecchio telegrafista postale mi confidò che una volta aveva sudato freddo per ricevere un dispaccio Morse in cifre diretto alla locale stazione dei carabinieri!

Secondo Mario Lucidi i nomi propri costituiscono nell’ambito del patrimonio linguistico una classe praticamente aperta (AG 8). È legittimo, domando ai linguisti, dire lo stesso dei numeri (e delle parole straniere)? Certo è che ai numeri manca ridondanza, non c’è nessun elemento contestuale che può far evitare di confondere un 13, mettiamo, con un 16. E ancor meno è possibile una correzione automatica…

Il problema è poi complicato dal fatto che non si hanno le idee chiare sui due diversissimi alfabeti Morse (vedi tabella in alto) e, per sovrappiù, che le mnemoniche di Culley, di Bright o del Post Office riguardano un terzo Morse, ibrido o quanto meno anomalo, essendo ricevuto su apparati ad ago (e non su sounder) ed essendo basato su discriminazioni tonali e non temporali (vedi, in particolare, Morse News 108).

I “tratti distintivi” dei numeri del Morse internazionale, io credo, sono stati scelti a tavolino, con l’occhio, avendo di mira l’uso scritto che se ne sarebbe fatto, mentre quelli del Morse americano sono stati scelti (o forse sono nati spontaneamente) con l’orecchio, senza pensare a conteggi, ma come pattern acustici desemantizzati e di pronta percettibilità.

 

Intervento di Gambarara (5.4.05):

Caro Gaeta,

la ringrazio innanzitutto per il coinvolgimento in una ricerca che vedo crescere e maturare ad ogni passo. Certo, i riscontri che lei ha avuto finora sono pochi (ma qualificati): occorre dare tempo al tempo, e forse, rispetto alla regolarità e all'abbondanza delle News, fornire anche ai più frettolosi e ai meno ambientati, un riassunto (in italiano e in inglese) delle ultime puntate, che - ad esempio - ogni tre mesi faccia il punto delle nuove acquisizioni rinviando con link alle specifiche News pertinenti sui diversi punti richiamati nel sommario.

Innescare davvero un dibattito scientifico è come vincere una lotteria: non succede tutti i giorni. E anche coinvolgere i "tecnici", che bisogna scoprire quali e dove siano, e magari contattare singolarmente.

Per parte mia, ciò che trovo più interessante è che lei sta mostrando che il Morse, che tutti consideravamo come un linguaggio assolutamente secondario e artificiale, un "codice", un mero codice appunto, è invece, considerato nelle sue diverse prassi effettive, una realtà molto più complessa, un linguaggio che presenta aspetti assolutamente naturali (nell'uso del corpo proprio, innanzitutto), insieme ad alcuni aspetti tecnici "artificiosi", e che per questo è forse in grado di farci vedere meglio aspetti comuni anche al primo linguaggio, alle lingue storico-naturali nel loro uso orale spontaneo, ma che in questo restavano in parte in ombra. Ritornerò, su alcuni specifici punti di questa questione.

Per ciò su cui mi sollecita ora, non ho risposte precise. I nomi dei numeri costituiscono anche nelle lingue orali un sottoinsieme fortemente caratterizzato, e che presenta caratteristiche anche formali diverse dagli altri segni linguistici. La prima di queste sta proprio nell'essere una classe aperta (con un numero infinito - in senso proprio - di elementi!), e che dunque deve utilizzare la "limitazione dell'arbitrarietà" saussuriana, componendo gli ulteriori numeri derivati con elementi e regole già noti al parlante dai primi numeri appresi (sette-cento--venti--cinque--milioni--due-mila--quattro-cento--novanta--sette).

Fra l'altro, oltre i primi numeri, il rapporto con la scrittura diventa essenziale anche nelle lingue.

La riduzione della ridondanza può essere dovuta proprio a questo carattere necessario di combinatoria  rigorosa su materiali interni già utilizzati. Certo, per l'aspetto "artificioso" del Morse, si sarebbe forse potuto fare di più, ottimizzare sia pure all'interno della combinatoria la ridondanza, un po' nel senso in cui lo si è fatto nel design delle cifre per i display luminosi a tratti, ma allora, come in questo secondo caso, si sarebbe perso in naturalezza e in legame con la tradizione, e il linguaggio è anche naturalezza e legame con la tradizione.

Su ciò che sta dietro i nomi dei numeri, e cioè la facoltà di discretizzare la numerosità (che non è senza rapporto con il linguaggio verbale), ricordo a lei e ai nostri tre lettori un recente articolo di Marco Mazzeo "Perché i conti non tornano: modularità massiva e intelligenza matematica" nel numero 2/3, 2004 della rivista <<Forme di vita>> (DeriveApprodi editore, Roma).

La saluto cordialmente. Daniele Gambarara

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