13 – Fisiofisica della voce

               

L’espressione comune “Fonetica articolatoria” può essere fuorviante se fa perdere di vista la differenza sostanziale fra articolazione e fonazione, che stanno tra di loro come l’atto grafico e la scrittura (vedi Fisiofisica della scrittura). Naturalmente, per evitare o prevenire, per quanto possibile, fraintendimenti probabili del mio pensiero bisognerà intendersi sulla nomenclatura da me utilizzata e meditare alquanto le idee esposte prima di avventurarsi in un rigetto acritico e pregiudiziale.

Nella Morse News 14 Gambarara allude a un “ductus articolatorio e acustico” portatore di informazione (semantica e/o emotiva) maggiore di quella veicolata dal ductus scritto, e probabilmente, essendo avvezzo o abbagliato, come tutti, dalle meraviglie della riproduzione sonora Hi-Fi o Hi-Tech, lo ritiene “fedelissimo” e in pratica equipollente al segnale “dal vivo”, costituito dalla sorgente sonora articolatoria. In altri termini Gambarara, magari senza porsi i problemi di meccanica grafica degli stenografi, accetta l’idea corrente, ma illusoria, che un microfono raccoglie tutto e che il corrispondente segnale fonico (oscillogramma a destra) contiene percorsi manifesti, percorsi aerei, punti morti e ogni minima sfumatura tonale, emotiva, semantica.

Le cose invece non stanno così perché la fonazione (il segnale microfonico, in termini tecnici) non è una diciamo “trasduzione integrale” dei movimenti articolatori, ma è semplicemente una “scrittura” – fatta di segni aerei – di ciò che noi diciamo oralmente, con la bocca (articolazione). E per quanto questa “scrittura eterea” sia la più naturale rispetto ad ogni sistema stenografico, stenotipico o stenofonico immaginato nel passato (fonografia Michela, glossografo Gentilli, ecc.) essa rimane in subordine rispetto alla sorgente articolatoria, in un rapporto simile a quello tra manoscrittura e dita dello scrivano, o tra zona Morse e mano dell’operatore (vedi anche Morse secondario vs Morse primario in AG 14).

Se può quindi aver senso parlare di energia articolatoria, e magari cercare di misurarla (disegno a sinistra, tratto dalla Phonétique Expérimentale dell’abate Rousselot), è invece poco produttivo, se non fuorviante, introdurre una energia fonetica associata ad un oscillogramma essenzialmente statico che, come già detto, è solo la proiezione bidimensionale, un sostituto surrettizio, dei movimenti articolatori, che invece e chiaramente sono dinamici, complessi e tridimensionali. E la prova più immediata della localizzazione energetica in ambito articolatorio e non fonico è data dal surricordatogiocattolo filosofico” di Edison.

Che l’“effetto Lucidi” e tutti i fenomeni di tensività scoperti dal geniale linguista siano rimasti ignorati, per mezzo secolo, o comunque inavvertiti (ammesso che siano stati cercati), può dipendere dal fatto che essi hanno la loro sede non in ambito fonetico, ma articolatorio e, soprattutto, dal fatto che quest’ultimo è molto meno accessibile alla misura dell’altro (nonché da questi mascherato). Ciò non esclude, però, si badi, che non si possano rintracciare anche nel segnale fonico ripercussioni dei fenomeni articolatori lucidiani, sufficienti per la loro rilevazione strumentale.

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