PO 33 – La FIAT ad acqua (26.1.2011)

Qualche torinese probabilmente avrà riconosciuto la “foto misteriosa” della PO 31, gli altri la potranno identificare osservando attentamente l’immagine che correda la presente News, una mappa ottocentesca del centro di Torino tratta da “Acque, ruote e mulini a Torino”, una lussuosa e preziosissima opera in due volumi edita nel 1988 dall’Archivio Storico di Torino, con molti autorevoli contributi (Vittorio Marchis, Giuseppe Bracco, ecc.).

Due secoli fa Torino, come Milano, Padova, Treviso e praticamente tutte le città della valle padana, oltre alle strade polverose e/o infangate aveva molti canali navigabili (quasi come Venezia!), sui quali erano impiantati i moltissimi opifici idraulici destinati a trasformarsi, alla fine dell’800, nella FIAT e negli altri stabilimenti industriali della più operosa città d’Italia.

Quelli che si sogliono chiamare “mulini” del Po, della Dora Riparia, del canale Michelotti, di Valdocco, dell’Arsenale, della Stura, ecc. non servivano solo a macinare grano o altri cereali, ma erano “macchine” nel senso più estensivo, in quanto derivate, anche etimologicamente, dalla “macina”: la “mola giacente” e la “mola corrente” possono considerarsi infatti gli antesignani della ruota motrice e della ruota condotta, in pratica degli “ingranaggi” e di tutti gli accoppiamenti meccanici.

Oltre alle ruote idrauliche azionate dalla libera corrente del fiume (le famose “davanoire”, individuabili nel disegno dalla larghezza molto maggiore), a volte galleggianti (su barche, come nel Tevere) e più spesso munite di pale ripiegabili o inclinabili a “persiana”, c’erano le ruote collocate in particolari corsie artificiali o condotti di adduzione (caminassi) che, sfruttando salti artificiali (anche di pochi metri) ed essendo alimentate alle “reni”, permettevano potenze motrici maggiori, specie se, come si intravede dalla mappa, erano collegate in “batterie” (in “serie” o in “parallelo”).

Il libro segnalato ha il merito indiscutibile di aver fatto uscire la “storia tecnica” delle macchine (non, si badi, la semplice “storia” delle macchine) dagli archivi (esemplare unico) facendola entrare nelle biblioteche (poligrafia), ma ha il difetto, peraltro tecnicamente inevitabile, di presentare stupende mappe archivistiche o catastali troppo rimpicciolite, che non consentono al lettore interessato di notare, e tantomeno sviscerare, il tesoro di dettagli tecnici che contengono. Per una fruizione “vera” bisognerebbe scannerizzare in alta risoluzione queste carte e metterle gratuitamente in rete, a disposizione degli scienziati (potrebbero in questo modo essere analizzati, per esempio, i fenomeni di “agguazzo” adombrati in PO 30).

Un altro difetto del libro sarebbe l’aver proseguito nel comodo solco dei già tracciati sentieri della scienza idraulica (Smeaton, Fourneyron, Poncelet, ecc.) trascurando Mannoury (vedi CA 21), i misconosciuti contributi di Poleni sulla forza viva (vedi PO 1) e il libro del Papacino, il “text book” della grande scuola (torinese) del Beccaria (vedi PO 6). Ma di questo diremo altrove.

indietro  indice  avanti