1.4 – Stenografia (1990 – 1993)

 

Senza accorgermene, a forza di bazzicare con Lucidi, ero diventato linguista e all’inizio degli anni 90 avevo del tutto ribaltato le antiche idee sulla enormemente maggiore efficacia dell'orale rispetto allo scritto[1]. Altro che lingua morta, lo scritto  – si pensi ai classici, a Dante, al valore documentale e legale, a Internet – può avere una valenza e una forza ben maggiori di uno sciatto orale[2]! Una volta afferrata[3] l’importanza della scrittura il passo successivo nello sviluppo delle mie ricerche è stato automatico e quasi immediato: lo studio della scrittura a mano (autografia).

In questa sede mi limiterò ai fatti essenziali delle mie ricerche sulla manoscrittura, senza entrare nei dettagli, perché l’urgenza primaria di questo Atomo – lo ricordo – è solo quella di far chiarezza sui rapporti tra me e il De Mauro e sulla diffamazione del Bitnick. Peraltro all’argomento, molto vasto, ho dedicato un intero Atomo[4], che per la verità è edito ancora parzialmente, e questo non perché io voglia fare il prezioso o il pretenzioso, ma semplicemente per mancanza di tempo. Mi spiego. Quell’Atomo, che io considero solo relativamente importante perché rappresenta una tappa e non un traguardo delle mie ricerche, l’ho messo in cantiere (all’inizio del 2002) per un motivo contingente, per guadagnarmi quella rispettabilità necessaria a far prendere in considerazione – dalla TV pubblica – la mia Televisione Interattiva Equivalente (Bitnick), invenzione che, pur avendo palese utilità sociale, è stata sempre ignorata, prima perché incompresa[5], e poi perché diffamata[6]. Poiché il referente naturale di tale lavoro sulla scrittura, il nostro Tullio, non mostrò segni né di interesse né di incoraggiamento, ne dedussi che sarebbe stato tempo sprecato e optai per un’altra pubblicazione scientifica[7], nella convinzione che i referenti di questa, gli psicologi diciamo eredi di Buccola[8], apprezzassero questo lavoro e mi dessero quella patente di rispettabilità, necessaria per farmi prendere una buona volta in considerazione[9]. Qualche timido (o temerario, nel caso del primo Luccio!) riconoscimento l’ho avuto, ma del tutto insufficiente a smuovere pregiudizi e inerzia di politici e dirigenti Rai[10].

Tornando alla scrittura la mia “scoperta” è apparentemente banale: la mano che scrive è assimilabile alla glottide, e di conseguenza la “grafologia” alla fonologia. Ma attenzione: per grafologia io intendo lo studio dell’atto grafico, della scrittura nel suo farsi e non lo studio (semeiotico della personalità!) dei segni già scritti, che è una cosa necessariamente parascientifica, quasi come lo è l’equivalente fonologia.

Per onestà intellettuale, e perché queste righe vogliono riassumere l’evoluzione delle mie idee, devo confessare che fino a pochi anni fa io equiparavo al 100% grafologia e fonologia e pensavo che nessun algoritmo avrebbe mai permesso il riconoscimento automatico né della manoscrittura né del “parlato continuo”. Ero cioè convinto, probabilmente come Albano Leoni e altri, che lo speech processing avrebbe potuto a malapena farsi col “parlato discreto”, cioè su parole staccate lette o dette lentamente. Recentemente invece lo stato dell’arte dell’ingegneria fonetica è giunto alla conclusione esattamente opposta e cioè che la segmentazione artificiale è molto più semplice nel parlato continuo[11]. “La svolta decisiva di questo percorso, avvenuta nel 1999, è stata costituita dall’evoluzione dei sistemi di riconoscimento vocale dalla modalità in "parlato discreto" a quella in "parlato continuo": quest’ultima permette di dettare un brano in modo molto più naturale ed anzi, a livello di tasso di accuratezza di riconoscimento, premia una dettatura fluida e veloce, penalizzando quella caratterizzata da pause o incertezze[12].

Ora, mentre la scrittura ordinaria può avere solo approssimativamente il carattere lineare (temporale) “del significante” che siamo invece soliti attribuirgli[13] – ed è appunto per questo che non si potrà arrivare mai al riconoscimento automatico della manoscrittura – c’è invece un tipo di scrittura speciale, direi quasi “illegale”, in cui la biunivocità spazio-tempo è in certa misura mantenuta: la stenografia e la stenotipia.

Partito dagli studi di “meccanica grafica” degli stenografi[14] ho scoperto il segreto della “ristrettezza del tracciato stenografico” (Vignini) e, dal 1990, ho cominciato ad interessarmi a Buccola e ai cronoscopi[15]. In particolare mi hanno aperto un mondo nuovo, tutto da esplorare, gli esperimenti di Buccola sulla scrittura[16], al cui studio non mi stancherò mai di invitare gli scienziati, anche se oggi, purtroppo, per quanto ne so, “nessuno si occupa più di fisiologia della scrittura”[17].

Se Lucidi, all’epoca, si fosse interessato di stenografia è un piccolo giallo: De Mauro l’ha escluso, ma il prof. Francesco Guadalupi, cultore di cose stenografiche ed esperto di fonetica e tratti soprasegmentali[18], ebbe a dirmi (5.5.1990) che “Panarello (o Cassanello?) gli aveva parlato di Lucidi, probabilmente perché questi si era interessato di stenografia”. 

Per seguire, per quanto possibile, il filo cronologico degli sviluppi delle mie idee, riporto ora due importanti lettere, entrambe scritte alla fine del 1991.

 

Roma 20.10.91

                   Caro Cosmai,

rispondo subito, epperò frettolosamente, alla gradita tua del 16 u.s.

Credo che non sia un caso il fatto che il più attento studioso delle crittografie mnemoniche si interessi anche di fonetica, scoprendo anche delle cose senza dubbio interessanti. Tra fonia e grafia ci sono infatti moltissime analogie (devi pensare ovviamente alla manoscrittura) come sto evidenziando da anni con esperimenti vari (pubblicherò qualcosa tra qualche anno e sarà mia premura informarti).

Stante l'arbitrarietà della lingua scoperta da Saussure il modo di pronunciare le vocali e ed o è del tutto inessenziale "tanto che la nostra usuale grammatica appena accenna alla presenza in italiano di sette e non di cinque vocali, in dipendenza del fatto che comparendo solo in posizione tonica ben di rado le vocali aperte hanno funzione distintiva rispetto alle chiuse" (M. Lucidi, Saggi linguistici, 1966, p. 12).

Io, come tantissimi italiani, non percepisco e non riesco a percepire la differenza tra la pronuncia aperta e chiusa (e proprio per questo avevo ideato il Tototono, tuttavia non mi risulta che questa presunta menomazione abbia mai dato luogo a fraintendimenti della comunicazione. I fraintendimenti - e credo che in questo tu sei maestro - possono invece essere provocati ad arte, ad esempio nelle barzellette...

Secondo me il fenomeno da te scoperto è circoscrivibile in aree ben determinate che risentono forse maggiormente dei retaggi latini (per quanto riguarda le incongruenze con la metrica latina, non si tratta di sovversioni inspiegabili, ma di inversioni spiegabilissime con le scoperte del già citato Lucidi, il mio maestro), ma è sicuramente un effetto (secondario) di un fenomeno generale riguardante il modo di pronuncia che può essere, a prescindere da qualsiasi considerazione di ortoepia, solo di due tipi: spontanea o educata (bene-dizione).

Canepari è nel giusto quando tira in ballo l'origine dotta di certe parole ma sei tu, credo, che hai afferrato il vero nocciolo del problema: che significa origine dotta? Io posso darti questa risposta (orientativa e provvisoria): quando non è materna, innata (anche dialettale, ma in certo senso). Se me lo chiederai, tra un paio di mesi, perché per ora sono impegnato in un brevetto simile a quello di cui ti allego un depliant) ti scriverò in modo più organico accludendo anche delle sostanziose pezze di appoggio.

         Cordialissimi saluti e buon lavoro[19].       Andrea Gaeta

 

 

Caro Cubeddu,                                                        Roma 2.12.91  

… Ho teorizzato infatti che così come vi sono due modi (o livelli) bistabili di pronuncia, analogamente vi sono due modi di scrittura, due modi di lettura e (molto probabilmente) due modi di ascolto (cfr. "La radio interattiva", § 4).

Impadronirsi della novità degli audiogiochi, della radio interattiva e, in generale, del mio mondo concettuale, per formazione così lontano dal Suo, Le costerà fatica, tuttavia Le sarà possibile grazie al miracolo della "vera" lettura. Quando invece le sottoporrò le interviste la "lettura" Le sarà molto più agevole (e nella fattispecie anche piacevole e utile....) perché la Sua non sarà una lettura vera e propria ma un riconoscere un mondo quasi noto. Questa è la forza della scrittura che, in certo senso, permette di accedere a lingue morte e future, entrambe ignote…

Lei, caro Cubeddu, forse storcerà il naso e, da buon accademico, per prima cosa, nell'accingersi ad un lavoro su Lucidi, si preoccuperebbe di come inquadrarlo nel panorama linguistico internazionale.... Lucidi però, Lei dovrebbe saperlo bene, non è uno studioso come tutti gli altri, come ad esempio pensa Daniele Gambarara (un brillante "demauriano"), ma un genio ben al di sopra di correnti, vanaglorie e traffici accademici e la prova tangibile di ciò è che i linguisti di mestiere (Pagliaro, De Mauro e Belardi), che alla morte di Mario erano stati incaricati da Walter di trascrivere e indi pubblicarne l'opera maggiore (pressoché pronta, badi), non sono stati in grado di farlo ed anzi l'hanno fatta disperdere!

Per scrivere su Lucidi è sufficiente (e ovviamente necessario) aver capito fino in fondo la teoria dell'iposema e conoscere il Cours, possibilmente nell'edizione (francese) alla quale egli ha attinto. Il resto è accademia.

Io mi occupo di Lucidi da 8 anni e credo di essere la persona che più di ogni altra ne ha capito il genio e la portata delle scoperte. Potrei, anzi dovrei, render pubblico quanto ho finora raccolto e prodotto, ma svariati motivi (la difficoltà di "stringere", la salute, la mancanza di tempo e di mezzi, le delusioni, l'ostinazione a cercare una verifica strumentale inoppugnabile della sua scoperta, ecc.) me lo hanno finora impedito. D'altro canto, come Le dicevo al telefono, il tempo passa e c'è il rischio che anche il mio lavoro, come (tutto sommato e con le debite proporzioni) quello di Mario, sia inutile e vada disperso.

Esclusa, tassativamente, ogni possibilità di collaborazione con De Mauro, ho pensato a Lei, trascrittore di Lucidi esattamente come me, con in più l'enorme vantaggio della conoscenza e della frequentazione del Maestro, per studiare la possibilità di organizzare insieme i dati di cui dispongo e quelli che i miei scritti, le mie parole e, soprattutto, le 140 pagine di interviste faranno certamente riaffiorare nella Sua memoria.

Per fare un lavoro degno, duraturo e "leggibile", a prescindere dalle scelte che potremo fare (un libro di interviste, un sostanzioso "ricordo" scritto solo da Lei, una parte dottrinale di cui mi assumerei io paternità e responsabilità, ecc.), occorrerà un grande sforzo di energie, di tempo e di denaro (ben difficilmente troveremo editori o padrini…) e una perfetta intesa tra noi due, il che, forse, sarà l'ostacolo maggiore.

Questa lettera vuole fare da pendant a quella a De Mauro del 17.6.85 (cfr.)[20] con la quale facevo il punto sullo stato delle mie ricerche e lo invitavo ad una collaborazione scientifica. Quella ebbe l'effetto di far chiudere a riccio il suo destinatario e fargli drasticamente cambiare atteggiamento nei miei confronti. Questa mi auguro abbia l'effetto opposto: coinvolgerLa nel mio ambizioso progetto di scrivere (in senso proprio, imperituro) su Lucidi, con l'entusiasmo riservato alle cose più importanti della vita…  

Un cordiale saluto.    Andrea Gaeta[21].

 

 

Per il biennio 1992-93 mi limito a ricordare la pubblicazione della più volte citata Lingua bistabile (controproducente per l’eccessiva provvisorietà?) e la prima delle mie due invenzioni sulla televisione, la TV-computer (vedi AG 5).

 

 

 

 

 



[1] Vedi La radio interattiva (§ 4) in Gaeta, Audiogiochi, cit.

[2] Di questa conquista intellettuale sono debitore anche a T. De Mauro, Senso e significato, Bari 1971.

[3] Forse sarò lento di comprendonio, ma una volta afferrata, fatta mia un’idea essa mi rimane ben radicata!

[4] A. Gaeta, Meccanica Grafica. Rassegna di studi fisiofisici sulla manoscrittura. Roma, 2002. Questo lavoro, per i motivi accennati nel testo, è ancora in sospeso. Da poco ho messo in rete l’indice dettagliato.

[5] Vedi Gaeta, Il Bitnick incompreso, cit.

[6] Vedi § 2.2 - Il disdegno di Tullio.

[7] A. Gaeta, Il cronoscopio di Hipp. Un problema telegrafico. Roma 2002.

[8] N. Dazzi, G. Cimino, G. Mucciarelli, R. Luccio, M. Sinatra, S. Gori Savellini, F. Di Trocchio, ecc.

[9] Non per fare automaticamente accettare il Bitnick, come credo avesse all’inizio inteso il prof. Cimino.

[10] Per qualche particolare rimando a § 2.3 – Il cronoscopio di Gaeta.

[11] Questo fenomeno potrà ricevere qualche luce dall’effetto Lucidi. Vedi § 3.1 - I numeri di Lucidi.

[12] S. Zorzi, L'utilizzo della tecnica del riconoscimento vocale nella redazione dei resoconti integrali di base dei lavori della Camera dei deputati. Vedi internet.

[13] Si pensi agli spazi tra le parole, ai punti morti in cui la velocità del pennino è nulla, ecc.

[14] F. Vignini, F. Rodriguez, A. Innocenzi, G. Spellucci, A. M. Trombetta, Francesco Pariset che ho avuto la ventura e la fortuna di conoscere personalmente. Eppoi una schiera di pionieri – De Vecchis, Estoup, Budan, Boni, Abate, Kaeding, Cordara, Nataletti, Bonfigli, Giulietti, Fabio Pariset e infiniti altri – di cui rimane qualche traccia nelle sparute (e sparite) vecchie riviste di stenografia, in primis i gloriosi “Studi grafici” e il Bollettino dell’Accademia Italiana di Stenografia del grande e benemerito Aliprandi.

[15] Vedi Gaeta, Cronoscopio, cit.

[16] Vedi A. Gaeta, Strumenti su Gabriele Buccola, Roma 1995; A. Gaeta, Spunti su Gabriele Buccola, Roma 1995; G. Buccola, La legge del tempo nei fenomeni del pensiero, Milano 1883. V. anche internet.

[17] G. Girotti, Comunicazione personale (24.10.1991). La cosa mi è stata confermata, mi pare di ricordare, anche dai proff. S. Cerquiglini, V. La Grutta, C. Pogliano e P. Guarnieri.

[18] Vedi La Stenografia in Parlamento. Roma, Camera dei deputati, 1987 (pp. 93-100).

[19] In una lettera successiva (10.11.1991) aggiungevo: Ribadisco che non esistono errori ed anomalie fonetiche e che le cosiddette leggi fonetiche sono un assurdo. La lingua è dominata dall'arbitrarietà, ma se non si è letto e assimilato Saussure non si può capire. Gli studi di linguistica geografica hanno soltanto valore.... accademico ed è proprio a titolo accademico che qualche linguista si interessa alle tue idee (probabilmente per utilizzarle nei suoi lavori...).

[20] Qui parzialmente pubblicata all’inizio del capitolo.

[21] Dopo questa lettera Cubeddu (l’unico, assieme a D’Anna, ad aver sinceramente apprezzato i miei sforzi ricostruttivi dell’opera di Lucidi) tentò di organizzare un seminario su Lucidi e mi scrisse: “è incredibile, ma non riesco a raccogliere adesioni dei colleghi – ormai siamo in pochi – che potrebbero prendere parte con cognizione di causa. Ho avuto delle risposte vaghe e sono piuttosto scoraggiato… (22.12.94). Un anno dopo (14.10.95), dopo aver letto le interviste, aggiunse: “sono presentate molto bene e hanno ravvivato i miei ricordi. Non mi arrenderò anche se, come Le ho già detto, i colleghi ai quali mi sono rivolto non sembrano interessati (forse preferiscono “convegni” più fruttuosi). Ripugna crederlo, ma con tutta evidenza qui devono esserci stati lo zampino (anzi la longa manus) e il veto di De Mauro.