81 – Ricordo di Mucciarelli

 

Di psicologie ne esistono almeno due: quella umanistica e quella scientifica. Le facoltà italiane di psicologia sono della prima categoria e gremitissime di studenti, qualche superstite istituto di psicologia scientifica (come quello, alla Sapienza, accorpato ad Antropologia, e già di De Sanctis, Ponzo e Canestrelli) è invece stranamente sempre deserto.

Quindici anni fa scoprii che una psicologia adatta alle mie corde di uomo di scienza esisteva quando lessi la ristampa del libro del 1883 di Buccola, il Wundt italiano. Questa riedizione di un dimenticato “classico” della psicologia italiana e la lucida riscoperta di Buccola le dobbiamo, rispettivamente, al compianto Giuseppe Mucciarelli e a Nino Dazzi, che sin dagli anni ’70, auspice la Domus Galileiana di Pisa, hanno attivamente rinnovato gli studi psicologici italiani e quasi fondato una disciplina nuova, la storia della psicologia.

Mucciarelli l’ho conosciuto, purtroppo non di persona ma solo per telefono e per email, pochi mesi prima della sua morte (febbraio 2001, vedi il necrologio ufficiale dell’università di Bologna). La mia aspirazione era che egli mettesse a disposizione degli studiosi i miei “strumenti” su Buccola, invece Mucciarelli, dopo averli letti e molto apprezzati, volle pubblicarmi anche gli “spunti” su Buccola, nella dichiarata prospettiva di un rilancio di questo autore, incompreso e osteggiato dai suoi contemporanei e dimenticato dai posteri. Come riportato, con qualche dettaglio, nel capitolo “Il cronoscopio di Gaeta” in AG 13 - tenuto doveroso conto delle integrazioni e rettifiche della precedente News -, i rapporti tra me e Mucciarelli furono però inquinati da qualcuno che, nella primavera del 2000, ebbe interesse e occasione di screditare il sottoscritto “inzuppando il pane” sull’appena uscito mio pamphlet dall’invitante titolo “Il Bitnick incompreso”.

Non comprendendo, allora, il voltafaccia (da un cordialissimo e fraterno “tu” a un freddo e imbarazzato “lei”) del mio mancato mentore, fui indotto a scrivergli, con un moto di orgoglio d’altri tempi, che “ragioni di opportunità, sulle quali posso fornire ogni chiarimento, mi inducono a rinunciare, sia pure a malincuore, all’ospitalità che Lei, forse incautamente, mi aveva accordato nella Sua prestigiosa rivista. Gli Atomi continueranno a vivere con le loro deboli forze e forse troveranno un alleato in Internet. Spero che la mia decisione non Le crei (altri) problemi e che sia capita”. Ma Mucciarelli capì (ben prima e più di me!) come erano andate le cose e nell’ultima telefonata (4 settembre 2000) ebbe parole paterne (“Non ti devi scusare, Gaeta, capisco perfettamente, sono vecchio…”), mi riconfermò la sua totale stima, mi fece gli auguri per “la battaglia del Bitnick” e vagheggiò megaprogetti per la psicologia scientifica e per rilanciare Buccola, grazie anche al mio “lavoro preparatorio di sicura affidabilità”.

Pochi mesi dopo Mucciarelli, e con lui le speranze mie e, oso aggiungere, della psicologia sperimentale italiana, morirono. Stamani, scorrendo l’ultimo numero di Physis, la prestigiosa rivista di storia della scienza, ho avuto la dolorosa conferma che di Buccola e di cronoscopi si continua a parlare solo filosoficamente o, per usare una parola a cui non posso non attribuire una connotazione negativa, “accademicamente”, come se Gli Atomi di Gaeta, come già quelli ottocenteschi di Buccola, non esistessero.

 

Intervento di Gaeta (7.12.04):

Inserisco la fotografia di Giuseppe Mucciarelli (1939 – 2001) inviatami, come promesso, dal suo allievo Prof.  Roberto Brigati, che infinitamente ringrazio.

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