70 – Lettera a Belardi

 

  

 

Emerito professor Belardi,

rispetto, malvolentieri, il Suo desiderio di non voler ricevere mie lettere o telefonate private e spero, sincerissimamente, che la mia decisione di scriverLe pubblicamente non l’avvilisca troppo.

Io non sono un accademico, né di nome né di fatto: ciò è la mia debolezza, però è anche la mia forza. Con l’aiuto della vera “allieva” di Mario, Virginia Ascioni (qui ritratta con me nel 1986), ho avuto la ventura di capire a fondo la scoperta di Lucidi; con l’ostracismo degli allievi diretti o “ufficiali” del Nostro (Lei e De Mauro, per la stragrande maggioranza che lo ignora) ho avuto invece la sventura di un nome infangato, nonché danni materiali per la non valorizzazione di un brevetto.

Solo da ieri, dopo le sue due email “privatissime” e dopo un colloquio, che si potrebbe anche definire “cordiale”, col De Mauro, ho forse cominciato a capire la “mentalità” – eufemismo che sottende ipocrisia, egoismo, ipocondria, autostima, arroganza, spocchia, invidia, ecc. – degli accademici. Lei, e anche Tullio, in privato avete parole di apprezzamento per il mio lavoro, però pretendete che non si dica e non si sappia in giro! E manifestate questa vostra “pretesa” come una cosa del tutto ovvia!

Potrei candidamente dire che voi “non rendete testimonianza alla verità”, ma la vostra colpa – a quel che pare involontaria, inavvertita – è ben più grave: voi ostacolate il progresso della Scienza! Ma, più prosaicamente, voi intimidite e imbavagliate i vostri colleghi o allievi più giovani e più aperti, col risultato che su Lucidi, malgrado Gaeta, permane ancora la cappa, il tabù di silenzio e incomprensione. In soldoni: Lei, che è “Belardi”, l’effetto Lucidi può averlo capito o intravisto, ma è mio dovere ricordarLe che la stragrande maggioranza dei profani che ignora Lucidi non può che riderne.

Non sono un grafomane e taglio corto, non prima però di aver rintuzzato l’accusa di averLa offesa in qualche passaggio di “Telegrafia e Lingua”. Non ne ho mai avuto né l’intenzione né il motivo e sono certo che se e quando rileggerà senza animosità, con serenità (come quella che traspare dal volto della Ascioni…) le mie pagine non potrà che ricredersi.

           Con i migliori auguri di buona salute. Andrea Gaeta

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