54 – Il metodo Montillot

 

 

Nel trattato di Télégraphie pratique (Paris, 1898) di L. Montillot, da cui è tratto il “telegrafo a cordicella” d’apertura, è descritto un sistema di addestramento al Morse che è stato esposto per la prima volta nel 1879 alla Scuola di Cavalleria di Sanmur (lezioni autografe) e che è stato successivamente adottato da parecchi autori ed istruttori, anche in Italia (Jengo, ABC del telegrafista, 1914).

Riporto una traduzione letterale dei capitoli “Manipolazione” e “Lettura uditiva” (pp. 120 ÷ 124).

Per arrivare prontamente ad una buona manipolazione è necessario sacrificare la velocità alla regolarità. Quando la mano sarà abbastanza esercitata, la velocità verrà quasi inavvertitamente.

Quando si devono istruire parecchi allievi contemporaneamente è opportuno procedere così:

si munisce ogni allievo di un manipolatore e come primi esercizi si fanno fare delle serie di punti, delle serie di linee, dei punti e delle linee alternati, e infine, quando si padroneggerà bene il ritmo dei segnali elementari, le lettere dell’alfabeto.

[N. B. - Il “punto” telegrafico non ha alcun rapporto col punto matematico, cioè l’intersezione di due rette. È solo una linea piccola il cui valore varia a volontà del telegrafista].

Per ottenere tutta la regolarità desiderabile gli allievi debbono decomporre i segnali ed eseguirli al comando dell’istruttore. Le figure seguenti, in cui le cifre rappresentano dei tempi uguali, mostrano la cadenza da osservare, mentre le linee verticali indicano se bisogna abbassare o lasciar sollevare il tasto.

Volendo si può prendere come esempio la cadenza del passo:

 

1   2       1   2       1   2       1   2

 

Lo spazio compreso tra 1 e 2, cioè tra il piede sinistro e il piede destro, rappresenta il punto; mentre lo spazio compreso tra 2 e 1, cioè tra piede destro e piede sinistro del passo successivo rappresenta la separazione tra due punti.

Le serie di linee avranno necessariamente un’altra cadenza, poiché la lunghezza di ogni linea è uguale a tre punti, mentre lo spazio che le separa non è uguale che a un punto:

 

1   2   3   4       1   2   3   4       1   2    3    4       1   2   3   4

 

Il tasto si abbasserà sul primo tempo e si lascerà sollevato sul quarto.

Combinando questii due esercizi si avranno dei punti e delle linee alternati:

 

1   2       1   2   3   4       1   2        1   2   3   4        1   2       1   2   3   4

 

Il ritmo che si ottiene decomponendo così i segnali evidentemente è troppo lento. Dopo che gli allievi hanno ben afferrato ed eseguito correttamente i tre esercizi precedenti l’istruttore prende una cadenza più viva e invece di contare due tempi sui punti e quattro sulle linee, chiama ciascun segnale col suo nome, dando all’intonazione la durata che deve avere il segnale. Così dirà: punto, linea, punto, linea, allungando sulla parola linea, in modo da dare ai due segnali elementari dei valori analoghi a quelli della breve e della lunga in versificazione. Si potrebbe quindi scrivere:

 

punto         linea        punto           linea

˘        ˉ       ˘        ˉ

Quando gli allievi sono numerosi il mezzo migliore per ottenere, dal maggior numero di loro, una manipolazione regolare consiste nel far cantare tutti insieme i segnali che eseguono.

Tutte le lettere dell’alfabeto si imparano con questo metodo. Così, quando l’istruttore comanda B dice linea, punto, punto, punto e gli allievi lo ripetono eseguendo il segnale col tasto.

Ogni lettera dell’alfabeto è trasmessa un certo numero di volte e questa manovra ha luogo, come nelle flessioni ginniche, ai comandi: “Iniziate! …. Cessate!”

Nelle lettere che terminano con una linea si combatte la tendenza che hanno gli allievi a prolungare quest’ultima linea terminando con l’intonazione heup, pronunciata brevemente al momento in cui il tasto si deve alzare.

Esempio     J   =    punto   linea    linea    linea    heup

                                       ˘     ˉ      ˉ     ˉ     ˘

Ogni tanto l’istruttore ferma un allievo e poi gli fa riprendere la cadenza.

Quando gli allievi possiedono bene tutte le lettere gliele si fanno trasmettere, sempre cantando, e al comando di sillabe, di parole molto corte, poi di parole più lunghe e a poco a poco si arriva a trasmettere frasi intere. Raggiunto questo grado di istruzione, il maestro può spiegare le regole da osservare per la trasmissione dei telegrammi, scrivere dispacci alla lavagna e farli trasmettere a comando, come già detto. Gli allievi arrivano così a ritenere macchinalmente, molto prontamente, tutto in una volta, le regole di trasmissione. Durante questo periodo si devono anche far lavorare gli allievi su un tasto munito di una pila e in comunicazione con un ricevitore messo di fronte all’allievo, cosa che si chiama lavorare in locale. Ogni allievo può così verificare le irregolarità della sua trasmissione e correggere i suoi difetti.

Gli esercizi fatti in comune, e cantando, hanno non solo il vantaggio di dare una cadenza uniforme a un gran numero di allievi alla volta, ma servono molto anche a preparare alla lettura al suono, forzandoli a tradurre con la parola ciò che eseguono con la mano.

Lettura al suono – Ci è sembrato vantaggioso iniziare, sin dal principio, gli allievi alla lettura al suono e di fare progredire questo studio contemporaneamente a quello della manipolazione.

L’istruttore, munito di un manipolatore e di un parleur, dissimula più che possibile i movimenti della sua mano, in modo da esser sicuro che gli allievi leggano al suono e non alla vista. Egli si sforza di far distinguere la differenza tra il punto e la linea.

Ogni segnale letto al suono è delimitato da un rumore secco che indica il suo inizio e un altro rumore che indica la sua fine. Nel punto i due rumori si seguono molto rapidamente, nella linea esiste tra i due un intervallo molto apprezzabile.

Si sono costruiti dei parleur che riproducono i segnali con un rumore continuo, una sorta di ronflement (ronzatore, cicalino, ronfleur) che rende la lettura molto facilitata. Si possono rappresentare graficamente i segnali prodotti da questi apparecchi con dei tratti ondulati più o meno lunghi.

Con questo sistema gli allievi arrivano a fare rapidi progressi e ci si è stupiti della facilità con la quale essi interpretano i segnali. Disgraziatamente qui c’è una sorta di trompe l’oeil (illusione ottica) e se dei telegrafisti che leggono correntemente al ronfleur si mettono davanti a un parleur ordinario si constata che non possono afferrare una sola lettera. Il ronfleur deve dunque servire, secondo noi, come un ausilio: quando un allievo non può leggere un segnale al parleur lo si può ripetere al ronfleur, in modo da facilitare il suo compito e di fargli afferrare la concordanza dei due ritmi.

In mancanza di ronfleur, quando l’allievo non legge i segnali eseguiti dall’istruttore, questi glieli fa cantare e li ripete finché l’allievo non li canta correttamente.

Ad esempio l’istruttore fa il segnale della C, l’allievo legge B e allora l’istruttore dice “Cantalo”.

L’allievo canta necessariamente quello che ha creduto di sentire, e l’istruttore fa questo segnale e l’allievo è costretto a confrontare la differenza. Lo ripete finché l’allievo non arriva a cantarlo e poi a tradurlo.

Gli allievi sono poi addestrati a leggere le differenti lettere dell’alfabeto, fino a quando non hanno alcuna esitazione. Poi leggono parole corte e lunghe, procedendo sempre per opposizione, trasmettendo di seguito parole poco differenti dal punto di vista dell’alfabeto Morse.

Si arriva così a far leggere piccole frasi e infine interi dispacci completi.

L’istruttore deve assicurarsi che gli allievi leggano realmente e non tirino a indovinare, quindi cambia molto la trasmissione inserendo parole senza senso. La tendenza a indovinare, che causa errori fatali, si deve combattere con tutti i mezzi.

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