112 - Ricordo di Peppino Palumbo

Voglio dedicare almeno qualche riga a i0OJ, Peppino Palumbo (1910-1999), il mio primo “maestro” di cose telegrafiche, colui che mi ha iniziato alle meraviglie – dirò meglio: ai segreti – di quel piccolo e sconosciuto telegrafo che ha in mano, il sounder (sul tavolo se ne notano altri due, oltre all’inseparabile “verticale”, sulla destra).

L’ho incontrato due o tre volte, nel 1994, per suggerimento di un radioamatore cieco, Giulio Nardone (che avevo conosciuto verso il 1985, all’inizio delle mie ricerche di fonetica su Lucidi, un altro grande cieco) e un’ultima volta nel 1998, quasi novantenne, ma arzillo, innamorato della telegrafia e pieno di curiosità. Dei nostri colloqui ho alcuni nastri, e le relative trascrizioni, che conservo gelosamente e consulto spesso.

Mi fece sentire i “rumoretti” del sounder e quelli analoghi del tasto, e mi fece “manipolare” questi due apparati per così dire “reversibili”. Mi spiegò bene la differenza tra telegrafia con fili e con zona, indi senza zona e infine senza fili. Mi diede dei nastri e delle dispense che aveva scritto per imparare il Morse. Mi parlò del cartoccetto (Cominoli) usato dai ferrovieri, che mi incuriosì moltissimo. Come nel linguaggio “si parla senza scrivere niente”, così in telegrafia la scrittura serve solo per ricordare (e naturalmente per sicurezza, per i controlli a posteriori). Ogni operatore ha la sua calligrafia o il suo tono di voce, cioè un modo peculiare di fare il segnale.

Si divertì a battere in Morse sui braccioli della sua sedia o ammiccando con le palpebre come fanno i giocatori di poker. Non è detto che il linguaggio telegrafico sia arido. Un telegramma come “Sole, calore, desiderio infinito di te” può essere poetico. Chi scrive “amoti” invece di “ti amo” è invece solo un micragnoso…

Mi raccontò molti episodi della sua vita, dei contest, del decalogo degli OM (old man, vecchio amico), delle scale R, S, T (comprensibilità, forza o strong, tono o bontà), delle prime radio a scintilla, delle trasmissioni coloniali strascicate, delle intercettazioni, delle spie, dei camuffamenti…

Per imparare a ricevere a udito non è necessario imparare prima la zona, si può anche non imparare affatto l’alfabeto Morse (la cosa è molto controversa, in realtà).

Mi disse anche una cosa che poi verificai pienamente: i testi francesi (di radiotecnica, di telegrafia) sono più chiari di quelli italiani (che presumono che lo studente già sappia delle cose...).

Una volta fu trasferito al telegrafo di Genova, sulla linea a circuito chiuso (tasto a paletta) per Sanpierdarena, molto trafficata. Avevano bisogno di telegrafisti e non radiotelegrafisti. Lui lavorava nella sala apparati con i telegrafi scriventi. Il telegrafista doveva tradurre dalla zona, mentre lui radiotelegrafista riceveva senza guardare la zona, ma solo col coppettino e quindi a velocità maggiore. Quindi lui riceveva a udito con la macchina telegrafica scrivente, senza guardare la zona. Per poter scrivere bisogna levare gli occhi dalla zona e quindi non si può andare veloci, ricevendo a udito questo problema non c’è.

È stato baudista e anche hughista. La manipolazione era a 5 dita, ha fatto il corso ma non ci ha lavorato molto perché rendeva molto meglio in Morse. Fino alla fine della guerra la Hughes era molto usata. Quando sono arrivate le telescriventi hanno tolto tutto.

Gli apparati oggi si comprano, mentre ai suoi tempi si autocostruivano. Nel Morse c’è calore umano.

 

Intervento di Chiarucci (31.1.05):

Bellissimo davvero. È raro trovare testimonianze dal vivo di telegrafisti di professione.

 

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