105 – Il picchio telegrafista

Nelle campagne di Gratteri, in Sicilia, c’era un palo telegrafico che attirava e incuriosiva noi ragazzini che villeggiavamo da quelle parti. Accostando l’orecchio al palo si sentiva un forte ronzio e poiché i “grandi” ci spiegavano che era dovuto ai telegrammi in transito ci immaginavamo di carpire chissà quali segreti.

Si trattava in realtà della vibrazione dei fili di bronzo e acciaio, tesati su lunghe campate, prodotta dal vento (fenomeno delle arpe eoliche, corde vibranti per getti d’aria), da variazioni di temperatura o da altri fattori meteorologici abbastanza oscuri. Era un vero inquinamento elettroacustico, molto fastidioso, specialmente per gli abitanti degli edifici su cui erano installati i pali o vicino ai quali passavano i fili del telegrafo, e per eliminarlo furono studiati diversi tipi di sordine, con risultati comunque mai ottimali.

Nel Bullettino Ufficiale dell’Amministrazione telegrafica, 1882, p. 94 si legge che in Norvegia, vicino a delle pinete, si trovano spesso pali telegrafici completamente perforati dai colpi di becco del picchio. La risonanza prodotta dai fili fa credere all’uccello che il palo racchiuda i vermi o gli insetti di cui è goloso e così li cerca avidamente sotto la scorza degli alberi, specie quelli un po’ guasti, arrivando a fare buchi anche di 7 cm di diametro.

Anche l’orso è vittima di questa illusione acustica. Sentendo il ronzio dei fili crede che si tratti di uno sciame di api e si avvicina al palo dove il ronzio è più intenso. Credendo che l’alveare sia tra le pietre alla base del palo le scava via tutte oppure cerca di spaventare e fare uscire le api con una forte zampata al palo.

In compenso pare anche che i fili tenessero lontani i lupi.

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