7 – Il fitness poetico di Poe

Di Edgar Allan Poe, purtroppo, non ho letto nessuno dei suoi famosi racconti polizieschi, né qualcuno dei suoi poemi. A dir meglio, ne ho scorso la celeberrima poesia “The Raven” (Il corvo), eternata anche nella sua pietra tombale (vedi foto), ma senza poterne gustare la perfezione metrica e la musicalità, essendo la mia conoscenza della lingua inglese appena bastevole per capire manuali tecnici, ad esempio di telegrafia.

Ho letto però, e molto meditato, i suoi relativamente famosi saggi sulla filosofia della composizione poetica, ad esempio “The rationale of verse” (1843), in cui Poe rivela i segreti della metrica poetica, in particolare, del citato The Raven. La bellezza di giambi, trochei, dattili, del climax, del refrain Nevermore, ecc. trae la sua forza dalla matematica e nulla viene lasciato al caso. Non voglio, né posso, addentrarmi oltre, devo dire però che, in generale, le sue acutissime e originalissime osservazioni mi richiamano gli ipogrammi di Saussure e il ronchiano “principio di autorità” invocato dai pedanti, e accennato nella Morse News 36.

Il verso ha origine dall’umano godimento per la equality, un concetto che abbraccia quello di identità, somiglianza, proporzione, ripetizione e, soprattutto, adeguatezza (adaptation) o benessere (fitness)”.  Il corretto funzionamento della poesia dipende dall’accordo delle parti, non diversamente da un pianoforte (o un qualsiasi altro strumento a corde) e dallo stesso corpo umano che per essere “in forma” devono stare continuamente “accordati”.

La base del benessere poetico risiede nella prosodia e nell’inviolabile principio della musica, il tempo. Sulla sillabazione e in particolare sulla scansione metrica regna però l’empirismo più assoluto, tanto che “sono state scritte più pietose assurdità in materia di sillabe brevi e lunghe che su qualsiasi altro argomento al mondo”. Invece, semplifica genialmente Poe, “le sillabe naturalmente lunghe sono quelle ingombrate da consonanti, mentre le sillabe naturalmente brevi sono quelle non ingombrate da consonanti”. Questo gravame (encumbrance) consiste semplicemente nella “difficoltà fisica di dare voce a tali sillabe, di compiere con la lingua i movimenti necessari a pronunciarle”.

 

Intervento di Pigliacampo (17.1.05):

Caro Dr Gaeta, complimenti per l’ultimo apporto: e si comprende perché Leopardi, il mio concittadino, è così valutato, compreso… goduto. Basta leggere con attenzione e musicabilità i suoi Idilli per restare estasiasi, rapiti, presi. Grazie. Renato Pigliacampo

 

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