35 - Il convincimento di Tullio

 

Circostanze contingenti e orecchie da mercanti mi costringono a rendere del tutto pubblica la

lettera di scuse da me scritta a Tullio De Mauro il 26 ottobre 2004 (vedi Morse News 80). Analogamente continuerò a scrivere lettere aperte a tutti coloro con cui non riesco a comunicare.

 

           Caro De Mauro,

non solo noi attribuiamo arbitrariamente un significato alle parole, che iposemicamente non ce l’hanno, ma lo attribuiamo anche ai silenzi che a maggior ragione, e con tutta evidenza, non l’hanno neanche loro. Questa non è banalità, è filosofia, anzi filosofia del linguaggio e lei certamente ne capirà e condividerà la portata.

Ci conosciamo da 20 anni. I suoi silenzi dei primi, grosso modo, 18 non erano ambigui: lei mi ignorava e rendeva tacito (appunto!) però sentito omaggio alla memoria di Lucidi. I suoi silenzi degli ultimi due anni invece alle mie orecchie, mi correggo, alla mia psiche sono apparsi subdoli e sono stati fraintesi perché circostanze esterne, chiamiamole così, hanno congiurato in tal senso (in realtà c’è stata gente che me lo ha fatto indirettamente o ingenuamente credere). Lei non si è “difeso” dalle mie infamanti accuse forse perché si è ritenuto “offeso”, ma ragionamenti analoghi, mutatis mutandis, valgono anche per me!

Spero che lei si ricordi di quel “Ma io, Gaeta, non la conosco” che il grande Mucciarelli, dopo che si era instaurato un promettentissimo rapporto di stima e collaborazione, ebbe a dirmi all’uscita de “Il Bitnick incompreso”. Per me fu una pugnalata, inferta per bocca di Mucciarelli, ma per mano di qualche traditore che, per liberarsi di uno studioso scomodo che cominciava a fargli pericolosa ombra, aveva “inzuppato il pane” e ironizzato su quel titolo così invitante. Tutti gli indizi (Carpitella, Di Trocchio, le accennate reticenze…) portavano a lei, invece, come in ogni giallo che si rispetti, il o i colpevoli erano altrove!

Non so se Mucciarelli abbia letto o iniziato a leggere lo strano e imbarazzante opuscolo di un autore che si accingeva proprio in quei giorni a pubblicare, anzi a “lanciare” nella sua prestigiosa rivista. Sicuramente invece avrà telefonato a quelli del suo entourage e, con ogni verosimiglianza, proprio a chi quel Gaeta (più per scaricarlo che per valorizzarlo!), qualche mese prima, glielo aveva presentato.

Qui potrei scrivere pagine e pagine (sia private, come la presente, che pubbliche) sugli indegni “eredi di Buccola” e della psicologia un tempo sperimentale e oggi solo libresca, ma me ne guarderò bene. Senza prove, e spesso neanche con quelle (alludo alla faccenda della tesi negata, su cui, se ricorda, ho chiesto anche il suo parere, e al sottobosco di ipocrisie che solo ultimamente e per puro caso sto scoprendo), non è igienico accusare o semplicemente infastidire (pur senza mai “aggredire”) la gente, specie se di qualche potere: l’esperienza docet. Devo però “convincere” Lei, caro e chiarissimo De Mauro.

Spero di trovarla domani, finalmente, alla Sapienza. A presto. Andrea Gaeta

 

INDIETRO