19 – Il telefono di Cecchi

Quando entrò sulla scena il telefono di Bell il mondo dei dotti fu attraversato da un’ondata di fermento e di dubbi. Riporto integralmente un contributo del celebre scolopio Filippo Cecchi, importante almeno quanto quello del suo confratello delle Scuole Pie Alessandro Serpieri, sia perché di difficile reperibilità sia perché rappresenta una tappa importantissima nei rapporti tra telegrafia, telefonia e lingua che ci interessano (Telelinguistica). Si tratta della memoria Dell’uso dell’alfabeto Morse nel telefono di Bell pubblicata nella Rivista Scientifico-Industriale, febbraio 1879.

In pratica Cecchi propone di usare il telefono come un sounder. Quest’idea, affacciatasi poi a molti altri, si rivelò non attuabile, però fu feconda in quanto porterà, sei anni dopo, all’invenzione del sounder-ronzatore. Lo schema è tratto da Lumière Électrique 1886, p. 174 o dal Journal of the Society of Telegraph Engineers, meeting May, 27th, 1886.

 

Ill.mo Sig. Direttore,

Non ho difficoltà ad esternarle anche per iscritto l’idea che già le espressi a voce, proponendo cioè, specialmente per distanze assai grandi, l’uso dell’alfabeto del telegrafo Morse all’ormai notissimo telefono di Graham Bell: idea che non ricordo di aver mai trovata espressa nei varii scritti da me letti sul telefono. Può sembrare cosa strana la proposta del linguaggio Morse, quando il telefono invece è capace di trasmettere la nostra parola, e ci permette di tenere conversazione con un corrispondente lontano discorrendo con esso come se fosse vicino. Ma ormai tutti sanno che la voce umana col telefono è sempre udita molto debolmente all’altra stazione e poco ben percepita. Son pur noti i conati di molti perfezionatori di tal genere di strumenti, e, per tacere di altri, citerò solo le interessanti esperienze del Mocenigo e quelle interessantissime del prof. Righi, il quale, a vero dire, ha fatto molto progredire la telefonia elettrica.

Ma se pongasi mente agli effetti del microfono di Hughes aggiunto al telefono, vale a dire al rinforzo notevolissimo che acquistano anche i più deboli rumori, i quali vengono mirabilmente percepiti, mentre non è ugualmente così per la trasmissione della parola, s’intenderà, io credo, come i colpi corrispondenti ai punti e alle linee dell’alfabeto di Morse possano essere percepiti assai meglio che la nostra parola e ciò specialmente a grandi distanze. E se volessero introdursi anche qui i rocchetti d’induzione alle due stazioni, come fa il sopra nominato prof. Righi, io ritengo che un dispaccio trasmesso per telefono usando l’alfabeto di Morse, potrebbe essere esattamente ricevuto anche a distanze grandissime.

L’apparato riuscirebbe ben semplice, essendo formato in ciascuna stazione di un tasto di Morse, di una pila di pochi elementi e di un telefono, e per le grandi distanze anche di un rocchetto d’induzione fatto alla maniera di quello di Ruhmkorff. Invece della pila e del rocchetto d’induzione potrebbesi forse con profitto fare uso di una macchinetta magneto-elettrica. La pressione della mano del telegrafista sul tasto di Morse, dovrebbe in tal caso staccare od allontanare un’ancora di ferro dolce dai poli di una calamita munita di rocchetti di filo di rame isolato. Così ad ogni abbassamento del tasto verrebbe spinta una corrente pel filo telegrafico nel telefono dell’altra stazione, ove si ripeterebbe il colpo del tasto medesimo, si vede che tutto l’apparato riescirebbe allora di una estrema semplicità. I colpi poi che si udirebbero nel telefono della stazione ricevente dovrebbero risultare così forti e distinti, da non esser possibile il confonderli con altri rumori che per avventura potessero accompagnarli. D’altra parte si sa che i telegrafisti leggono benissimo ad orecchio i dispacci trasmessi con la macchina di Morse.

Si affaccia per altro una difficoltà contro il sistema proposto, ed è quella che con esso si perde il vantaggio del telegrafo scrivente: imperciocchè i suoni fugaci percepiti nel telefono non lasciano alcuna traccia di sé stessi, mentre l’apparato di Morse lascia scritto il dispaccio, che all’occorrenza può sempre essere riscontrato, e si presta, come dicono, a fare il controllo. Questa difficoltà certamente è grave, ed era già stata fatta fino da principio al telefono, il quale parla ma non può scrivere. Anzi io credo che sarà questo un principalissimo motivo, per cui il telegrafo Morse non cederà mai interamente il campo al telefono. Ma credo ancora che per certi dispacci di minore importanza, su certe linee telegrafiche, per servizi speciali, potrebbe probabilmente il sistema che propongo trovare qualche utile applicazione.

È noto che molto si studia presso varie nazioni per adottare l’uso del telefono in tempo di guerra. E non potrebbe il sistema da me proposto riuscire in pratica più sicuro e più proficuo dell’ordinario telefono?

Senza più estendermi a ricercare i casi di altre applicazioni, non potendo ora fare giudizi sopra cose di cui dalla sola esperienza dipenderà la decisione, termino e sono colla più distinta stima

 

Di V. S. Ill.ma  -  Firenze, 27 gennaio 1879

Devotiss. Servitore F. Cecchi d. S. P.

 

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