GV 18 – La pila esorcizzata (17.5.2008)

          

 

Nel liceo classico Maffei di Verona, dove l’abate Giuseppe Zamboni (ritratto a sinistra) operò per 40 anni (1806-1846), insegnando la Fisica a tre generazioni di veronesi e portandola “persino all’intelligenza delle donne” (Cantù, cit.), è gelosamente conservata la prima pila “a secco” inventata, costruita e “formata” dallo Zamboni nel 1812 (probabilmente ancora efficiente, vedi foto al centro e a destra).

Era costituita semplicemente da migliaia di fogli di carta argentata (o stagnola) impregnati, da un solo lato, di colla, glutine, biossido di manganese, piombaggine o persino di “miele”, impilati, impacchettati e fortemente pressati. Le custodie di vetro, più o meno ermetiche, erano un optional, anzi in certi casi si dimostravano controproducenti.

Non posso essere più scientifico sia perché non ho approfondito come avrei voluto questa “tecnologia” primordiale; sia perché anche nelle pile “a umido” è facilissimo impaludarsi (pile primarie, secondarie, binarie, ternarie, ricaricabili, con inspiegabili recuperi o inversioni di polarità, Ritter, Erman, ecc.), specie se, per troppa dimestichezza, si ha la presunzione di sapere cos’è l’elettricità; sia infine perché la pila Zamboni era, ed è, circondata da mistero.

L’orologiaio P. F. Forlati, nel suo libro “Segnatempo veronensis”, Verona, 1987, forse la persona che in tempi recenti si è più occupata di Zamboni, con competenza e passione, ci informa che “gli orologi elettrici non furono accolti benevolmente sia per la novità, sia per il caratteristico odore di ozono che i contatti producevano e facevano pensare a sataniche magie” (p. 68) e che “nel secolo scorso furono promossi esorcismi contro la sconosciuta elettricità sia da correnti religiose che laiche” (p. 74).

La novità di questa pila – ben più perpetuadi quella di Volta – era tale da rasentare una “diavoleria”. Toccando il bottone “agente”, sigillato dalla ceralacca rossa (colore per questo poi divenuto standard per il polo positivo), al buio si vedevano scintilluzze e si sprigionava un odore di ozono. La gente perciò, spaventata davanti a quell’aggeggio che faceva puzza di temporale, lo temeva come un ordigno infernale.

Ai non addetti ai lavori faccio presente che in elettrostatica, in certe condizioni, come appunto le pile a secco, “tensioni” di 3000 V possono non essere pericolose (purchè non ci sia di mezzo la micidiale boccia di Leida…). La “scossa” si riduce ad un formicolio, mentre avvicinando alle guance un corpo elettrizzato si ha soltanto la sensazione di una ragnatela.

Vai a GALVANI NEWS