FO
46 – La velocità stenografica (ex BU 15)
Spero di far cosa utile, almeno a
qualche mio lettore, riportando integralmente il seguente importante saggio, di
difficile reperibilità. Il grafico è tratto da Buccola News 13.
F. Vignini - Studio sulla
conquista della velocità stenografica. Roma 1959
1 – Concetto di velocità grafica
In cinematica chiamasi
velocità il rapporto tra spazio e tempo.
In grafia occorre sostituire al concetto di spazio, metricamente considerato,
quello più adeguato di percorso grafico, il quale è, a sua volta,
in rapporto con la forma, il senso, la pressione,
l’unione, ecc. Il percorso grafico comprende,
infine, sia la parte di esso che lascia una traccia visibile (percorso manifesto),
sia quella parte che non lascia traccia visibile (percorso aereo).
Esiste un limite fisiologico alla velocità
grafica: la mano dell’uomo non può, entro una determinata unità di tempo,
eseguire più di un certo numero (max)
di percorsi grafici prestabiliti, numero che segna il limite non superabile
della velocità grafica, sia che si usi la scrittura
ordinaria, sia che si usi la stenografia o altro genere di grafia.
La stenografia non è una scrittura più veloce
di quella ordinaria, anzi è, generalmente, più lenta; essa ha
però una potenzialità rappresentativa molto maggiore di quella
posseduta dalla scrittura comune: la stenografia, cioè, permette, con uno
stesso numero di movimenti, di rappresentare un più elevato numero di parole.
Il termine stenografia è, dunque, più esatto del termine tachigrafia,
in quanto il segreto per cui lo stenografo riesce a fissare la
parola velocemente pronunziata non risiede in una maggiore velocità della
scrittura ma nella ristrettezza dei tracciati.
2 – La velocità-limite teorica
Estoup, assunto quale
elemento grafico un segmento rettilineo, filiforme, discendente, di altezza 1
(circa
3 – Velocità-limite reale
Vari esperimenti di controllo mi hanno
convinto che gli studi diretti a stabilire la velocità-limite grafica debbono
condursi sulla scrittura ordinaria. È noto che con la scrittura corsiva
italiana si possono scrivere dalle 30 alle 50 parole al minuto primo. Bisogna,
però, tenersi sulla media di 40 parola, poiché, al di sotto, non vi sarebbe
vera e propria rapidità, mentre, al di sopra, le deformazioni diverrebbero
eccessive.
Anche il numero di 40 parole non dice nulla.
Bisogna, per lo meno, effettuare il computo in lettere e stacchi. Dai miei
esperimenti è risultato che, scrivendo rapidamente un brano avente senso
compiuto, si possono tracciare dalle 160 alle 210 lettere al minuto, con una
media di 180 lettere chiaramente leggibili. Ciò significa che in media in un
minuto secondo la mano dell’uomo può tracciare 3 lettere corsive unite fra loro
mediante filetti.
4 – Unità di
misura (il tachigramma)
Non ritengo possibile, allo stadio attuale
degli studi di meccanica grafica, stabilire una unità di misura della velocità
grafica che possa avere valore universale, poiché fra i computi ottenuti su segni isolati
(Faulmann, Kaeding,
Aliprandi) e la realtà, esistono discordanze notevolissime, dovute agli
incrementi e ad altri fattori complessi; ma al solo scopo di apportare un
ulteriore elemento agli studi precedenti ho condotto una serie numerosa di
esperimenti diretti a controllare il tempo necessario al tracciamento del
segmento discendente di altezza 1 (circa 6-
Nel presente scritto non si tiene
conto dei risultati ottenuti col grafotachimetro
Vignini, apparecchio elettromeccanico che
permette la misurazione delle “durate” sia dei percorsi “manifesti” che di
quelli “aerei” (stacchi). Ai fini della velocità stenografica, didatticamente
intesa, i rilievi al Grafotachimetro non hanno
importanza. I rilievi stessi sono invece di supremo interesse dal punto di vista
della struttura grafica teorica degli stenogrammi.
Ora, se chiamiamo tachigramma
questo segno elementare (segmento più stacco) considerato come
espressione grafica del tempo minimo di tracciamento, avremo che in 1 minuto si
possono eseguire 360 tachigrammi, cioè 720 movimenti
semplici. Ne deriva una legge in curiosa armonia con il cronografo, cioè a
carattere duodecimale: la massima velocità grafica conseguibile dalla mano
dell’uomo è di 12 movimenti al secondo.
5 – Il cinegrafogramma
Se, come visto al § 3,
possiamo scrivere, in 1 sec, 3 lettere dell’alfabeto ordinario e se i movimenti
della velocità limite teorica sono 12 al sec, risulta che ad ogni lettera
corrisponde, in media, il tempo di 4 movimenti cioè di 2 tachigrammi.
Ma, mentre i 4 movimenti eseguiti tracciando
2 segmenti e 2 filetti o stacchi hanno una potenzialità rappresentativa
molto limitata, la lettera della scrittura ordinaria può
assumere, volendolo, per le caratteristiche grafiche insite nella sua forma
complessa, una potenzialità di gran lunga maggiore (capacità di valori
letterari, sillabici, sintetici, arbitrari, ecc.). il concetto di movimento
applicato alla forma complessa è dunque diverso da quello
relativo alla forma elementare: il movimento assume
il significato di un cinegrafogramma e,
siccome una lettera alfabetica contiene una media di 4 elementi-valore,
si può calcolare che “ad ogni movimento teorico corrisponda, in pratica,
un elemento-valore”.
6 – La massima velocità stenografica
Se un sistema di stenografia riesce ad assegnare ad ogni elemento-valore
il significato di una sillaba (comprese evidentemente le eliminazioni,
abbreviazioni, sintesi grafiche, ecc.) risulta che
in un minuto primo è possibile tracciare 720 cinegrafogrammi-valore
corrispondenti, per la lingua italiana, a 360 parole! Pur considerando le
deduzioni relative agli stacchi in una perdita massima di 300 cinegrafogrammi, la velocità limite risultante resterebbe
sempre elevatissima: 270 parole circa al minuto!
7 – Gli impedimenti
Questa eccezionale velocità grafica o,
meglio, potenzialità grafica insita nella stessa scrittura
corsiva italiana, dovrebbe dunque condurre ad una velocità stenografica
enormemente superiore ad ogni necessità pratica poiché permetterebbe, con tutte
le tare immaginabili, di scrivere circa 250 parole al minuto. Per quali motivi
a tale velocità non giunge nessuno? Per quali motivi la conquista della
velocità stenografica è sempre molto faticosa, qualunque
sia il sistema stenografico applicato?
I motivi sono di ordine vario e complesso e
possono chiamarsi impedimenti. Essi sono:
a) Mancanza di
automatismo.
Le 180 lettere/min
possono scriversi con la scrittura comune solo in quanto si tratta di forme
perfettamente automatizzate dal lungo uso; non si è costretti, cioè, a pensare
minimamente alla costruzione della parola e tanto meno di ciascuna lettera: la
mano esegue i segni con assoluta sicurezza e rapidità. L’automatismo
della scrittura ordinaria è stato raggiunto dopo decine d’anni di
continuo esercizio; in stenografia, invece, terminato lo studio teorico, non si
è che all’inizio dell’esercizio necessario per giungere all’automatismo degli
stenogrammi, esercizio che dura anni, non mesi.
b) Polimorfismo degli
stenogrammi
Le forme della scrittura corsiva italiana
sono, in definitiva, le 24 lettere dell’alfabeto (48 con le maiuscole) o poco
più se si considerano anche forme speciali, segni di interpunzione, ecc.,
mentre in stenografia ad ogni parola corrisponde un segno differente, razionale
quanto volete ma sempre diverso da parola a parola. Mentre la scrittura comune
comprende al massimo una sessantina di segni, la stenografia si compone in
definitiva di molte decine di migliaia di stenogrammi. Di qui, uno sforzo
enormemente più grave e più lungo per conquistare l’automatismo stenografico.
c) Maggior numero di
stacchi
Lo stacco tra una parola e l’altra comporta,
teoricamente, una perdita di tempo non eccessivamente grave, calcolata dagli
studiosi in mezzo movimento o, al massimo, in un
movimento. Praticamente, per ragioni mentali più che meccaniche, lo stacco ha
una durata notevolissima, non ancora precisata ma comunque molto superiore a
quella teorica. Con la scrittura comune si compiono, in un minuto, circa 40
stacchi. Alle minime velocità stenografiche gli stacchi sono,
numericamente, circa il doppio di quelli necessari con la scrittura comune;
alle velocità medie circa
Il
Grafotachimetro
rivela, oggi, che lo stacco fra parola e parola (supposta – s’intende – la più
assoluta sicurezza mentale) varia da un minimo di 10 centesimi di secondo ad un
massimo relativo di circa 30/40 centesimi.
d) Novità delle forme
grafiche
Mentre le forme della scrittura comune
presentano sempre le medesime difficoltà (che l’automatismo ha ridotto al
minimo), in stenografia si presentano spesso (e ciò quanto meno perfetto è il
sistema, graficamente considerato) forme grafiche nuove, unioni difficoltose,
segni di non facile esecuzione. Moltissimi inventori non vogliono sacrificare
la illusoria semplicità teorica alla soluzione di questo problema
che, dal punto di vista grafico, è fondamentale ed è risolto solamente dai
sistemi corsivi (vedi comunque, a tal proposito, anche “Questione grafica”,
§ 16, n. VII).
e) Deformabilità
Le deformazioni delle lettere ordinarie sono
tali, in velocità, da non incidere fortemente sulla esatta rilettura; ma uno
stesso grado di deformazione, riportato nella scrittura stenografica,
renderebbe pressoché illeggibile lo stenoscritto. Lo stenografo deve, perciò,
anche in velocità, mantenere entro certi limiti le deformazioni, il che
evidentemente lo costringe ad un continuo controllo delle forme con conseguente
calo della velocità.
Per i suesposti impedimenti, il tempo
necessario per raggiungere l’automatismo stenografico
è molto più lungo di quello occorrente per la conquista dell’automatismo
grafico ordinario.
8 – Eliminazione degli impedimenti
Bisogna dunque eliminare gli impedimenti; e
non esiste a tale scopo altro mezzo che l’esercizio diretto a
sormontare le difficoltà fino a renderle nulle; esercizio che non deve
prescindere assolutamente dalla correttezza dell’esecuzione. Si tratta di un
lavoro complesso che richiede, qualunque sia il sistema applicato, lo sviluppo
della memoria visiva in completo accordo con il fenomeno auditivo come inteso
dal Gregg (“Per udito non si intende
solamente il fatto fisico, ma, in senso più generale, la comprensione
intellettuale”, 1930), lo stato che permette di raggiungere la prontezza cosciente
della reazione grafomotoria. Lo studio
teorico, lungo o breve che sia, non ha, entro ragionevoli limiti, nessuna
importanza ai fini ultimi cui tende la stenografia poiché il vero sforzo
dell’allievo consiste nella ripetizione instancabile degli stenogrammi. Una
teoria lunga, tale da assicurare superiori pregi pratici alle alte velocità e
che richieda un forte sforzo mentale per essere appresa,
avvantaggia, anziché ritardare, la conquista dell’automatismo.
Un impedimento che non è eliminabile con i
sistemi stenografici attuali è il maggior numero di stacchi. Per
ridurre questi alla proporzione della scrittura comune occorrerebbe inventare
un sistema capace di riunire in un segno unico almeno 5 o 6 parole, il che non
garantirebbe poi, del tutto, l’eliminazione di ogni esitazione tra una parola e
l’altra.
9 – Le due fasi
Mario Boni (Tecnica e Nazionalismo, 1927): “Spesso
il cervello comanda un movimento o una combinazione di movimenti che la mano
non eseguisce prontamente o perfettamente perché vi sono di ostacolo elementi
di meccanica grafica contro i quali tutte le chiacchiere di questo mondo non
varranno mai a nulla”.
Meschini, citando Nataletti, rispondeva: “La meccanica
grafica ha un’importanza meno che secondaria di fronte al problema psicologico;
la mano è sempre pronta ad eseguire tutte le più complicate acrobazie che le si
possono richiedere: tutto sta che il cervello sia pronto a trasformare la
parola in segno e quanto più piccolo sarà il tempo impiegato in questa
trasformazione, tanto più celere sarà la mano”.
A prima vista sembrerebbero due opinioni
contrastanti (Nataletti: comanda il
cervello; Boni: comanda la meccanica grafica), invece si tratta di
due concezioni che si integrano a vicenda e che si riferiscono alle due grandi
fasi per le quali deve passare il processo di conquista della velocità. La
prima concezione (Nataletti/Meschini)
si riferisce alla fase iniziale dell’automatizzazione, durante la
quale l’allievo deve abituare il cervello alla costruzione istantanea
dello stenogramma fino al cosiddetto automatismo mentale. La
seconda concezione (Boni) si riferisce al precedente punto d)
e cioè all’abilità manuale la quale può avere un
significato e un peso solo in quanto si sia già raggiunta
l’automatizzazione mentale.
10 – Le esitazioni
Nelle fasi suddette l’allievo si trova dunque
a malpartito a causa delle esitazioni,
che consistono nella mancanza di sicurezza circa l’esatta forma
teorica del segno (regola confusa o dimenticata, sigla o non sigla, ecc.),
oppure in difficoltà materiali di esecuzione grafica, specialmente quando le
forme si allontanano molto da quelle corsive cui è abituata la nostra mano.
Le esitazioni mentali possono dipendere da 3
cause:
-
imperfetta
rappresentazione mentale dello stenogramma (difetto di teoria);
-
imbarazzo, indecisione nella scelta quando gli
stenogrammi creduti possibili siano più di uno (difetto di scelta);
-
indecisione
nelle abbreviazioni oratorie (faccio o non faccio questa abbreviazione
oratoria? Ometto o non ometto questa parola?)
Le esitazioni grafiche o meccaniche possono
dipendere:
-
da
disobbedienza della mano (complesso grafomotore). Il
segno si è presentato chiaramente al cervello ma il moto impresso alla mano non
è coordinato e conduce ad un tracciato confuso, erroneo o troppo deformato;
-
da
difficoltà di ordine puramente grafico (segni ai quali la mano non riesce ad
adattarsi anche dopo lunghissimo esercizio, cambiamenti di direzione troppo
bruschi, forme strane, ritorni indietro, rafforzamenti difficoltosi o
graficamente illogici, cambiamenti continui di posizione degli stenogrammi,
scontri grafici, ecc.).
se, prendendo il problema a rovescio,
possiamo definire la velocità stenografica come la eliminazione di tutte
le esitazioni, i gradi attraverso cui si giunge alla velocità sono i
seguenti:
1° - perfetto apprendimento della teoria;
2° - eliminazione di tutte le esitazioni
mentali mediante l’esercizio;
3° - raggiungimento dell’automatismo
grafomotorio ed eliminazione graduale di tutte le
esitazioni meccaniche;
4° - addestramento professionale (oratorio).
Liberato da ogni preoccupazione mentale e grafica dal raggiunto automatismo
totale, lo stenografo passa alla fase superiore esercitandosi a raccogliere
il pensiero. È la fase che eleva alle vette dell’arte il
lavoro stenografico, fase in cui lo stenografo non considera più il discorso
come una serie di parole ma come una serie di pensieri e di idee
dirette ad un fine, fase in cui lo stenografo segue l’oratore immedesimandosi
con il suo lavoro mentale.
11 – L’automatismo
Ma che cosa è, infine, questo automatismo? In
senso biologico è il compiersi di una funzione senza apparente intervento della
volontà; psicologicamente si ha automatismo quando un’azione si determina e si
esplica con un minimo intervento delle facoltà coscienti o, spesso, senza
apparente intervento delle stesse.
Scrive Laura Ciulli-Paratore
nella sua Pedagogia: “Quando la
volontà tendente ad un determinato fine si estrinseca nell’azione, il soggetto
non riesce normalmente ad adattare subito i mezzi al fine. Se si tratta di
movimenti che non ha mai compiuto egli può trovarsi nella condizione di dover
fare diversi tentativi prima che l’adattamento venga raggiunto e, durante i
tentativi, avverte il senso dello sforzo da cui il movimento nuovo è
accompagnato. Via via che il movimento si ripete, gli organi si adattano alla
funzione, il senso di sforzo dilegua, finché si arriva ad agire come nei
movimenti riflessi. La ripetizione di un atto, cioè l’esercizio, determina nei
centri e nelle vie di scarica una speciale attitudine per cui allo stimolo
risponde in modo preciso e immediato la relativa reazione. Allora l’atto è
diventato abituale, si è connaturato al soggetto che lo compie”.
Prosegue l’Autrice: “L’acquisto delle
abitudini non solo facilita le azioni, ma giova anche a permettere la
molteplicità delle occupazioni. Allorché l’atto è divenuto abituale il lavoro
viene compiuto in modo automatico. E allora la coscienza può essere
diversamente occupata”.
Le buone ed utili abitudini devono,
quindi, essere contratte, nell’interesse stesso del nostro progresso
biologico, mentale e morale.
12 – Automatismo e
psiche
Gli atti psichici universali vengono distinti
in riflessi, istintivi, ideo-motori, volontari, ecc. La realtà non è così
schematica poiché la misurazione che l’uomo può fare delle intensità psichiche
proprie o altrui è densa di errori. È ormai dimostrato che, alla base di tutti
gli atti (automatici o istintivi), esiste un iniziale moto psichico cosciente e
ciò non solo nell’attività psicologica umana, ma in tutti i piani dell’essere
universale che filosofi e scienziati vedono ogni giorno di più come una grande
espressione pan-psichica in cui materia, spazio e tempo
non sono che manifestazioni apparenti (vedi anche Studi Grafici,
fascicolo 131, pp 61-62).
13 – La conquista della velocità stenografica
in ogni arte, mestiere, lavoro o disciplina l’abilità dipende
sempre dalla pratica. Per pratica si intende quella disinvolta
capacità ricca di accortezze, di segreti, di piccole furberie che si
manifesta nel connubio rapidità e precisione, cioè
in un risultato buono ottenuto in breve tempo. La
disinvoltura è data dalla sicurezza ed è già più che sicurezza.
Per raggiungere l’abilità occorre, ripetiamo, l’esercizio,
quell’esercizio di cui parla la Ciulli-Paratore, che culmina
nell’atto connaturato.
Quindi anche in stenografia l’abilità si
conquista con l’esercizio. Ma come esercitarsi?
I procedimenti possono essere divisi in due classi: empirici
e razionali.
14 – Procedimenti empirici
Si fondano esclusivamente sulla pratica.
Didatticamente si valgono di dettature eseguite dall’insegnante
oppure da un dettatore o anche mediante fonografi, magnetofoni, ecc. le
dettature vengono effettuate non appena l’allievo ha terminato lo studio
teorico, con una gradualità generica affidata al giudizio
dell’insegnate. I procedimenti empirici rifuggono dalle ripetizioni eccessive,
condannano la tendenza all’automatizzazione forzata. I fedeli dell’empirismo
ritengono che sia necessario pervenire alla velocità non attraverso ripetizioni
di brani all’uopo preparati, ma con l’esercizio di
costruzione degli stenogrammi: l’allievo, essi dicono, deve
contrarre l’abitudine ad affrontare le difficoltà, a risolverle volta per
volta, addestrando il cervello a compiere le operazioni di analisi e di sintesi
con sempre maggiore prestezza: memoria, intelligenza, logica, giudizio e tutte
le altre facoltà connesse con il lavoro stenografico vengono così esercitate.
Con l’aumento della disinvoltura nell’affrontare e risolvere le difficoltà
della dettatura l’allievo giunge alla velocità: per un processo naturale
e nelle condizioni ambientali molto simili a quelle che dovrà affrontare nella
realtà.
È evidente che i procedimenti empirici si
fondano su principii psicologici sani, virili, intellettuali ed aderenti
alla realtà pratica; ma gli empiristi troppo caparbi somigliano, quando
esagerano nel loro cieco tradizionalismo, a quei buoni villici che ancora non
si vogliono far convincere, nonostante l’evidenza dimostrativa, dei vantaggi
derivanti dalle coltivazioni razionali.
15 – Procedimenti razionali
Questi procedimenti, si badi bene, non
seguono indirizzo opposto né mirano a scopo differente, ma tendono più che
altro
a)
a
mettere l’ordine e la gradualità rigorosa nelle esercitazioni;
b)
ad
evitare tutte le perdite di tempo accelerando al massimo il
processo di conquista dell’automatismo;
c)
a
valersi di studi sulla frequenza dei vocaboli d’una lingua per mettere
più presto l’allievo in condizione di affrontare la realtà.
I razionalisti sono
generalmente contrari alle dettature per ragioni che vedremo più
avanti, ed insistono molto sulla correttezza teorica non esitando talora a
vietare le traduzioni per evitare distorsioni mentali che fanno perdere tempo
prezioso e a valersi, invece, intensivamente, di copiature da
antologie stenografiche, di esercizi di stenocalligrafia,
di ripetizioni di brani preventivamente tradotti con l’ausilio dell’insegnante
o di una chiave.
I procedimenti razionali son da preferire
agli empirici; ma, qui, i razionalisti troppo spinti somigliano a quei fanatici
delle specialità terapeutiche che, anche per far spuntare l’arto ad un monco
prescrivono… la penicillina!
16 – Vantaggi e svantaggi
Nelle discussioni fra empiristi
e razionalisti sono sorte numerose questioni
riflettenti i vantaggi e gli svantaggi che presentano i due procedimenti. Esse
sono:
I – Questione filosofica. Dicono alcuni
empiristi: “L’automatismo è filosoficamente condannabile perché elimina la
coscienza”. Altri ritengono che l’automatismo sia inevitabile ma che si debba
giungervi per un processo naturale, non forzato (Mario Boni).
Rispondono i razionalisti dimostrando che non esiste nell’Universo eliminazione
di coscienza in nessun atto vitale, mentale e morale; che, se mai, esiste il
passaggio di certi atti nel cosiddetto subcosciente ma sempre
dopo un processo cosciente. Ai secondi rispondono che, una volta
ammessa la necessità di giungere all’automatismo, non vedono le ragioni per le
quali si debba allungare il processo. (Sul problema della coscienza
nell’automatismo vedi il § 12).
II – Questione dell’automatismo. Certi empiristi non
sono ancora convinti della inevitabilità dell’automatismo poiché
essi credono ravvisare nelle abbreviazioni oratorie facoltative
l’esclusione, da parte degli inventori, di un concetto di automatismo totale.
Al massimo, essi dicono, occorrerà automatizzare le sigle. Evidentemente, su
questo punto, gli empiristi devono retrocedere. Alle alte velocità, come alle
medie, è impossibile pensare alla costruzione dei segni e la
sicurezza è tanto maggiore quante più sigle e quanti più segni definitivi
possiamo usare. La minima esitazione nella scelta tra due segni egualmente possibili
è causa di una formidabile riduzione della velocità. Lo stesso Mario Boni,
che non è un deciso razionalista, scrisse: “Bisogna conoscere degli
stenogrammi, non delle regole”.
Intendiamoci, qui non si nega minimamente
che, alle alte velocità, la meccanicità grafica, per quanto perfetta, non basti
a risolvere le difficoltà del compito affidato allo stenografo. Senza la guida
del buon senso, il controllo del ragionamento, la luce dell’intelligenza, una
semplice abilità meccanica è insufficiente; anzi serve a ben poco pure alle
velocità modeste. Ma, non esistendo un fondamento “meccanico” non si potrebbe
neppure pretendere, da parte del cervello, la signoria, il controllo, l’abile
uso di una capacità… che non c’è. Coloro che negano l’automatismo dovrebbero
dimostrarci che si può stenografare a notevoli velocità “non appena compiuto lo
studio teorico”! Ma così non è. È vero, purtroppo, il contrario, quando accade,
per esempio, di riempire una cartella pensando ad altro. Come potrebbe
ciò avvenire se non in virtù di un acquisito “automatismo”? – v. anche § 18, Il
pensiero di Gabelsberger).
III – Questione cerebrale. Gli empiristi
affermano che bisogna abituare il cervello al lavoro intellettuale di analisi e
sintesi, di costruzione dei segni, di esecuzione grafica spedita,
disinvolta,
finchè queste operazioni non si svolgeranno con rapidità.
Al cervello, dicono, bisogna richiedere attenzione sempre uguale; disabituarlo
dalla fatica intellettuale non è giovevole ai fini supremi dell’arte
stenografica. Abituando invece l’allievo a costruire i segni sotto la pressione
della dettatura si ottiene il grande vantaggio di evitare al futuro
stenografo ogni indecisione quando, nell’applicazione pratica dell’arte, si
troverà a stenografare parole nuove e difficili: in tali casi, dicono sempre
gli empiristi, lo stenografo non si perderà d’animo ma, abituato a costruire,
saprà, comunque, superare le difficoltà. I razionalisti, invece, abituano gli
allievi ad una certa facilità e non li pongono mai di fronte alle difficoltà
reali.
Replicano i razionalisti che, se l’abitudine
alla costruzione dei segni può essere un vantaggio notevole, gli
svantaggi che ne derivano sono straordinariamente più seri. Infatti, sotto la
pressione della dettatura, l’allievo si abitua a scrive come può
commettendo errori teorici spesso molto gravi, deformando i segni, abbreviando
a suo modo, dimenticando sigle, ecc. Tutto ciò costituisce aberrazione, cattivo
empirismo, caduta di ogni valore teorico e tecnico: è come buttare a mare un
disgraziato sperando che, in qualche maniera, riesca ad imparare
il nuoto. I più grandi nomi dell’insegnamento stenografico insistono invece
sulla necessità di coltivare la teoria e, quindi, di automatizzare segni
corretti. D’altra parte, quando l’allievo avrà automatizzato tutti gli
stenogrammi, le difficoltà spariranno, non vi saranno più per lui quelle
“parole nuove” che tanto temono gli empiristi.
IV – Questione ortocalligrafica. Insistendo sulla
precedente questione, gli empiristi affermano che l’allievo deve imparare a
scrivere con disinvoltura, senza troppe preoccupazioni,
anche sbagliando teoricamente e che non si può ottenere disinvoltura in chi
troppo si preoccupa, quando scrive, di scrivere troppo bene (Quitadamo, 1931). Rispondono i
razionalisti:
“Gravissimo errore è quello di ritenere
che si possa comunque scrivere asserendo che basta saper rileggere il proprio
stenoscritto. Non bisogna invece mai incorrere in errori i quali, ripetuti,
nuocerebbero a quella sicurezza di lettura e di scrittura da cui dipende in
primo luogo la velocità e impedirebbero di mantenere quella unità di scrittura
dalla quale si possono conseguire i più ampi risultati” (Cerchio).
“Occorre mettere in guardia gli allievi
contro la tendenza funesta che essi hanno ad accelerare eccessivamente i
movimenti della mano, ciò che porta alla deformazione dei segni. Il compito
principale dell’insegnante consisterà nel trattenere gli allievi, a obbligarli
a scrivere calligraficamente, a esercitarsi lentamente, a non tracciare un
segno se non quando se ne siano, in precedenza, formata una immagine mentale
ben netta” (Estoup, Gammes, VII ediz.)
“È necessario che gli allievi abbiano
sotto gli occhi una traccia assolutamente corretta e che non siano esposti a
contrarre cattive abitudini esercitandosi su delle tracce scorrette” (Estoup).
“Le cattive abitudini da estirpare
hanno grande detrimento sulla precisione e sulla rapidità” (Prevost-Delaunay).
“Soltanto superando con paziente lavoro
le difficoltà che possono presentare i tracciati esatti e correttamente
eseguiti di tutte le parole è possibile arrivare alle mete ultime” (Frigeni).
V – Questione pedagogica. I procedimenti
razionali, dicono gli empiristi, con le continue ripetizioni e copiature
annoiano gli allievi, mentre, con gli antichi procedimenti, dettando brani
sempre nuovi e opportunamente scelti, gli allievi si interessano di più e
seguono meglio anche i concetti di ciò che stenografano; essi operano, insomma,
nell’atmosfera reale dello stenografo che si sforza
di tener dietro al discorso e ne traggono maggior giovamento.
Sono belle parole – rispondono i razionalisti
– ma il vantaggio dell’atmosfera reale non compensa i danni che ne derivano (tracciati
sbagliati, deformazioni, ecc.). d’altro canto, coloro che insegnano
razionalmente possono testimoniare che, lungi dall’annoiare, i metodi intensivi
di ripetizione e i risultati che ne derivano entusiasmano letteralmente le
scolaresche. L’allievo gioisce dei risultati che consegue e comprende
finalmente con quali concetti egli deve procedere per arrivare alla meta. Gare
di stenocalligrafia, di velocità ed esattezza su
brani conosciuti, ecc. possono completare il quadro del successo pedagogico dei
procedimenti razionali.
VI – Questione psicologica. Gli allievi, dicono
gli empiristi, si avvedono, ad un certo punto, che i progressi fatti con i
metodi razionali sono illusori poiché, mentre un certo brano
preparato è stato stenografato a 70 parole, un brano nuovo non viene scritto
neanche a 40; e l’allievo si scoraggia. Quindi, psicologicamente, dicono gli
empiristi, i metodi razionali sono da rigettare.
Replicano i razionalisti: “L’insegnante c’è
apposta per spiegare e guidare. Egli espone, fin da principio, le basi dei
procedimenti razionali. L’allievo sa che la sua velocità non è reale, ma sa
anche che ogniqualvolta incontrerà, in nuovi brani, parole già automatizzate,
egli potrà scriverle senza difficoltà; egli sa che l’automatizzazione continua
gli spiana la via verso il successo finale in ragione, possiamo dire,
quadratica. L’insegnante, è naturale, non deve far vedere lucciole per
lanterne”.
VII – Questione grafica. Gli empiristi
affermano che gli stenografi che applicano sistemi corsivi non hanno bisogno di
automatizzare i segni (Quitadamo), e
che, forse, questa necessità è maggiore presso gli stenografi seguaci di
sistemi geometrici.
Ma ecco quanto scrive Giulietti
su Scienza stenografica (1930): “Non basta il fatto che la
stenografia ha la stessa base calligrafica della scrittura comune, che certe
lettere stenografiche riproducono lettere ordinarie e loro parti, ecc.
L’ostacolo non si trova nel segno, ma nell’adattamento mentale.
Di qui derivano disformità di dimensioni, di grossezza, di pendenza dei segni
tracciati dai principianti, anche se i segni stessi riproducono lettere
dell’alfabeto ordinario; di qui dipendono deformazioni spesso difficili a
togliersi e che in taluni si vanno talmente radicando da costituire un difetto
d’origine anche nella stenografia pratica”.
Come si vede, corsivismo
o geometrismo, la difficoltà sta sempre nel cervello. I metodi razionali non
mirano a formare un’abilità puramente grafica ma arrivano a questa generando
primamente la sicurezza mentale, sicurezza che è egualmente
necessaria per apprendere perfettamente una stenografia geometrica o corsiva.
Il problema di meccanica grafica si presenta alle alte velocità. Qui, è la
continua abitudine all’attenzione che risolve il problema: qui si dimostra come
un segno complicato, perfettamente chiaro alla mente, si tracci più presto di
un segno semplicissimo che è però rimasto incerto nel cervello.
VIII – Questione culturale. Certi razionalisti
cominciano ad applicare i metodi della ripetizione fin dalle prime lezioni
teoriche – borbottano gli empiristi – e ciò è contrario ad un principio
culturale per cui l’allievo non deve abituarsi a considerare la stenografia
come una materia da imparare a memoria ma come una materia essenzialmente
formativa per apprendere la quale è necessario uno sforzo intelligente ed il
concorso di molte altre nozioni, prime tra tutte quelle linguistiche.
“Ben detto!”, rispondono i razionalisti, “Noi
siamo i primi ad affermare il valore culturale della stenografia ma intendiamo
che quanto viene a mano a mano spiegato sia non solo intelligentemente capito
ed appreso ma anche validamente fissato nella memoria. Se le
regole teoriche non si trasformano in stenogrammi, non si giunge
a risultati concreti. La stenografia è una materia pratica e quindi, oltre al
suo valore culturale, ne ha uno effettivo, reale, di importanza superiore. Alla
fine dei conti, uno stenografo un po’ “meccanico” che scriva e rilegga bene 180
parole al minuto è da preferirsi ad un ottimo teorico che non riesca a superare
le 90. Inoltre, il vero valore culturale dello stenografo e del suo
sistema si rivela molto in alto, quando l’automatismo è divenuto solido
e sicuro. “Lo stenografo deve dominare sufficientemente il meccanismo
dell’arte in modo da poter rivolgere la sua piena attenzione al discorso senza
essere disturbato dai mezzi meccanici” (Gabelsberger).
IX – Questione didattica. Se si deve
riconoscere che la ripetizione dei segni è utile per fissarli nella memoria e
automatizzarli, non è da approvare l’attribuzione di una grande importanza ad
un testo razionale di gamme per l’acquisizione della velocità, pensa Mario
Boni.
Ritengono, invece, i razionalisti che sia
necessario creare testi razionali per la conquista della velocità stenografica.
Un testo ben fatto ed abbondante potrebbe evitare tanti insuccessi e tutte le
enormi perdite di tempo che impongono i procedimenti empirici. Si tratta
piuttosto di studiare se sia il caso di seguire gli esempi dell’Estoup, del Cerchio o del Rodriguez
o se sia il caso di congegnare un procedimento nuovo che elimini tutti gli
svantaggi e raccolga solamente i vantaggi sia dei procedimenti
empirici che di quelli razionali (Metodo Vignini).
X – Questione delle dettature. Gli empiristi sono
per le dettature, i razionalisti, in genere, sono contrari. Gli svantaggi del
dettato, già accennati al n. III, sono:
-
obbligando
l’allievo a scrivere rapidamente, il dettato deforma la sua scrittura;
-
crea
forme teoricamente sbagliate che l’allievo ripete sbagliate e automatizza
sbagliate (danno gravissimo);
-
può
essere fatto solo quando tutti gli allievi sono in classe;
-
costringe
a velocità disparate poiché gli allievi più progrediti seguono bene mentre gli
altri, bisognosi di maggior cura, vengono sforzati e quindi peggiorati;
I vantaggi delle ripetizioni e copiature
razionali sono invece i seguenti:
-
lasciano
agli allievi il tempo loro necessario per eseguirli con cura;
-
danno
agli allievi la forma esatta degli stenogrammi ed evitano quindi
l’automatizzazione di forme sbagliate difficili, poi, a sradicare;
-
possono
essere date come compito per casa;
-
non
costringono a velocità disparate ma permettono che ogni allievo si eserciti
secondo le proprie possibilità.
Dicono gli empiristi che la mancanza di
dettati non abitua l’allievo al futuro compito di stenografo ed in ciò
evidentemente hanno ragione. Il dettato, con le opportune cautele
dirette ad evitare sia l’automatizzazione di segni teoricamente errati sia le
deformazioni, deve essere introdotto, come è già stato fatto da molti, nei
procedimenti razionali; ma anche i metodi di ripetizione e di copiatura (come
adottati dalla scuola Duployè) debbono
essere abbondantemente applicati.
17 – Altri vantaggi dei procedimenti
razionali
Con le dettature empiriche di brani sempre
nuovi, oltre a produrre i danni che si sono visti, si viene a frapporre troppo
tempo fra stenogrammi identici. In altri termini, se nel dettato di oggi io
pronuncerò la parola “differenziazione” e se non ripeterò questo brano molte
volte, fino a far automatizzare tutti gli stenogrammi che lo compongono, fra
quanto tempo mi si ripresenterà l’occasione di ridettare la
parola “differenziazione”? Se ciò avvenisse anche fra due
settimane gli allievi non avranno più nella memoria traccia esatta dello
stenogramma scritto oggi e dovranno quindi compiere uno sforzo quasi ex-novo
per tracciarlo. È poi probabile che alcune parole molto frequenti si vengano a
ripetere eccessivamente rubando tempo all’automatizzazione di
quelle altre che non si sono incontrate. I procedimenti razionali invece,
postisi innanzi il quadro completo della lingua con le parole più frequenti,
con quelle corrispondenti a stenogrammi difficili, a sigle, abbreviazioni, ecc.
possono creare testi idonei ad esercitare l’allievo con ordine, con gradualità,
in una parola: razionalmente.
Le ripetizioni dei brani preparati fino
all’automatizzazione di tutti gli stenogrammi relativi comportano un altro
grande vantaggio: non conducono soltanto all’automatizzazione di quegli
stenogrammi, ma preparano il parziale automatismo di parole stenograficamente
simili. Ad esempio, se automatizzo la parola “verbo”, avrò la via
preparata all’automatizzazione delle parole diverbio, verbale, verboso,
verbalmente, avverbio, nerbo, nerbata, serbo, sorba, e così via.
18 – Il pensiero di Gabelsberger
Quando si sta per raggiungere una delle più
alte vette del pensiero stenografico, si trova che là, sulla cima, già qualcuno
ci ha preceduto issandovi la propria bandiera: questo qualcuno è quasi
sempre Gabelsberger. Egli non fa parte né della
scuola empirica né di quella razionale, ma fa parte a se stesso,
come Dante e altri Sommi. Gabelsberger pensa che,
all’estremo dell’arte stenografica, la “maestria” debba essere
tale da rendere lo stenografo completamente indipendente e dagli sforzi costruttivi
del segno e dalle forme definitive imparate a memoria. Egli
scrive: “Non solo (chi si vale unicamente dei mezzi “meccanici”
dell’arte) non può arrischiarsi oltre i limiti del suo meccanismo, ma subito
si sente perduto non appena il meccanismo gli rifiuta il minimo dei servizi o
delle garanzie”. A questo punto G. pensa che lo stenografo debba avere
una così grande padronanza non solo del sistema stenografico che ha studiato ma
della stenografia in sé, da essere in grado, sia pure sotto
l’impulso della velocità, di abbreviare ulteriormente, modificare, aggiungere,
omettere, mantenendosi perciò sempre ligio al filo del discorso, sfruttando per
questo suo alto genere di abbreviazione la perfetta conoscenza della lingua
onde poter applicare le leggi della incompatibilità linguistica e grafica in
rapporto al nesso logico del discorso. Bisogna dunque, scrive G., “dare
alla stenografia, per il suo ulteriore sviluppo, mezzi che oltrepassino quelli
offerti da un meccanismo senz’anima o da un dizionario di abbreviature da
imparare a memoria; mezzi cioè che rechino in sé le garanzie necessarie agli
uomini esperti, colti, scientificamente istruiti”.
“Mezzi”, dunque, “che
oltrepassino” quelli offerti da tutte le altre stenografie, in altre
parole che sono condensati nell’abbreviazione logica,
capolavoro di G. che nelle aule delle scuole pubbliche e private rimane sempre
là, sul tavolo, intonso o quasi, forse perché alla stenografia non si dà
ancora, nelle scuole, il giusto valore.
Certamente il pensiero di G. come quello di
tutti i geni, è troppo elevato per la plebe: non sono molti gli stenografi
capaci di svolgere il proprio compito in armonia con le mete ultime indicate
dal grande bavarese e questa realtà deve farci riflettere e deve, purtroppo,
nella didattica comune, farci scendere qualche gradino, portarci al livello
della scuola razionalista ma con le parole di G. nello spirito, sempre accese,
affinché la stenografia non diventi mai uno strumento cieco.
19 – I metodi razionali
Il metodo razionale per eccellenza è quello
di Estoup, detto anche delle “gamme”.
L’Estoup, dopo aver studiato il
meccanismo psicologico dello stenografare, perviene alla conclusione che, in
ultima analisi, tutto si riduce ad una “immagine motrice”
tradotta in traccia grafica dai mezzi meccanici. L’autore afferma subito un
concetto molto importante e cioè che “la velocità stenografica non
dipende dalla mano ma dai processi mentali”. Finché questi processi si
svolgono con sforzo cerebrale non può esservi velocità: quando un atto si
effettua a fatica non può che compiersi lentamente. L’Estoup
non tralascia infine di far notare che “la mano” ha la sua
importanza solamente alle velocità elevate (v. anche § 9).
Per ridurre al minimo lo sforzo non resta
l’esercizio il quale, per l’abitudine, conduce all’automatismo e
quindi alla velocità. Estoup afferma che senza
automatismo non esiste stenografia a nessun grado, che l’automatismo è quindi
condizione necessaria del lavoro stenografico. L’automatismo ci
libera dalla bisogna materiale inferiore della scrittura.
Estoup è, in parte,
contrario alle dettature per gli inconvenienti già visti nonché per: la
difficoltà di trovare sempre pronto un dettatore, l’abitudine che prendono gli
allievi di saltare le parole difficili, l’illusione che essi si formano circa
la loro velocità la quale non è effettiva perché raggiunta a spese delle
deformazioni e delle calcografie. Ammette però, di tanto in
tanto, le dettature per abituare l’allievo alle condizioni reali del lavoro
stenografico, dettature da eseguirsi sempre, però, su brani già minuziosamente
studiati onde evitare ogni inconveniente.
Egli quindi espone i vantaggi incomparabili
della ripetizione intensiva dei segni per la conquista della
velocità. Ad evitare lo spavento egli fa notare immediatamente che non si
tratta di automatizzare di colpo i 90.000 stenogrammi della lingua francese! Le
indagini statistiche insegnano che le parole comunemente usate da
un oratore, come quelle dello stile commerciale, amministrativo, giornalistico
od usuale non sono più di 3500. Graduando tali parole in testi
appositamente preparati ed effettuando esercizi di ripetizione su ogni brano
fino all’automatizzazione, si può in breve tempo conquistare una velocità
utile: il perfezionamento porterà poi alle alte velocità su brani sconosciuti.
Seguendo tali principi Estoup
presenta 4 volumi di testi preparati che egli chiama “gamme stenografiche”.
La denominazione “gamma” è stata tratta dall’omonimo termine musicale che
indica la divisione dell’ottava. Anticamente, la terza lettera dell’alfabeto
greco (gamma) era usata per indicare la nota più bassa alla testa della scala
diatonica; da qui venne il nome di gamma ai 7 suoni. Oggi noi diciamo “scala
musicale” e gli esercizi connessi si chiamano “scale”,
sinonimo di “gamme”. Sia dunque per il fatto che le gamme
indicano delle serie, sia perché significano “esercizi di
ripetizione”, Estoup raccoglie il
vocabolo e lo applica al suo metodo. Ogni brano preparato viene così chiamato
“gamma”. Le gamme stenografiche sono suddivise in tante serie, ogni serie
è relativa ad una determinata velocità (50 parole, 60,…. 120, ecc.).
Ogni testo è tipografico. L’allievo deve,
anzitutto, costruire gli stenogrammi, cioè tradurre con cura il
testo tipografico in caratteri stenografici. In ciò Estoup
è d’accordo con gli empiristi; ma egli pone come condizione che la traduzione
debba essere eseguita sotto la guida vigile dell’insegnante, oppure con l’aiuto
di una “chiave”, cioè di un corrispondente testo stenografico. In
tal modo l’allievo costruirà segni ortograficamente e calligraficamente
perfetti. Successivamente ha inizio il lavoro di ripetizione intensiva.
L’allievo deve tenere sotto gli occhi il testo tipografico ma può
ricorrere alla traduzione o alla chiave se incontra difficoltà. Il primo
brano della serie a 50 deve essere ripetuto tante volte finchè,
senza deformazioni né errori, venga raggiunta la velocità di 50 parole/min. Si
passa poi al secondo brano, sempre della serie a 50, il quale, contenendo molte
parole già automatizzate nel primo, richiederà un numero di ripetizioni minori,
e così via. Estoup ha calcolato che
occorrono 30 ripetizioni per automatizzare il primo brano di ciascuna serie,
mentre gli ultimi richiedono solo 7 o 8 ripetizioni.
Evidentemente la velocità raggiunta sui brani
preparati non è effettiva poiché passando a un brano sconosciuto
la velocità diminuisce. Tale scarto però diminuisce rapidamente a misura che si
avanza verso le gamme più alte.
È evidente che al di sopra delle 100
parole intervenga prepotente la necessità della dettatura, ma questa
deve avere luogo solo quando l’insegnante è certo che l’allievo ha ben fisse
nella mente le forme di tutti gli stenogrammi delle “gamme”.
Applicato all’insegnamento collettivo il
metodo delle gamme comporta delle complicazioni, nettamente inferiori però a
quelle dei metodi empirici.
Il metodo Pandolfi. È una esagerazione
del metodo Estoup. Riempire la prima
riga del quaderno di stenogrammi e ripeterli nelle righe sottostanti.
Il metodo Cerchio. Questo si allontana
dall’Estoup perché non parte dal
testo tipografico ma direttamente da testo stenografico, con le seguenti norme:
lettura corrente del brano stenografico; copiatura della prima frase;
ripetizione intensiva delle sole parole difficili; ripetizione intensiva della
frase intera, avendo cura che tutte le parole vengano scritte con la medesima
spigliatezza; esecuzione di identico lavoro per tutte le frasi
successive; ripetizione dell’intero brano fino al raggiungimento della velocità
prescritta.
20 – La lettura
La lettura di testi stenografici non è
soltanto utile per imparare a leggere ma ancor più per imparare a
stenografare. La lettura costringe ad uno sforzo
che può sembrare a tutta prima inverso a quello costruttivo ed è invece squisitamente
costruttivo esso stesso con l’imparabile vantaggio di una sicura
ortografia. L’Estoup pone come condizione
prima che il brano della gamma, dopo essere stato tradotto e perfettamente
corretto, venga letto molte volte prima di effettuare gli
esercizi di ripetizione. Gabelsberger pone, come al
solito, su di un piano elevato il concetto di lettura: “si
deve giungere ad abbracciare con un colpo d’occhio l’immagine grafica di intere
serie di pensieri, il che veramente è tanto più facile quanto più semplice e
compatta si presenta la scrittura”.
Nel mio metodo di insegnamento la lettura è
al primo posto: essa sveglia la memoria visiva, abitua l’occhio
all’esattezza del “percorso” e della forma, imprime nella mente stenogrammi
perfetti.
21 – Il mentalismo
Haillez, stenografo belga,
scriveva nel 1929: “La velocità e la sicurezza nello stenografare possono
facilmente essere raggiunte mediante l’esercizio mentale, svolto
di pari passo con le esercitazioni pratiche. Il vantaggio dell’esercizio
mentale consiste soprattutto nel non esservi bisogno di un dettatore, né di
carta, né di matita”. Questo metodo ausiliario consiste nel rappresentarsi
mentalmente i segni stenografici delle cose che si vedono, delle parole che si
odono, di quelle che si pensano, di quelle che si hanno sotto gli occhi quando
si ha in mano un libro, un giornale, una lettera. A lungo andare il mentalismo
provoca una serie di associazioni fra stenogrammi e cose, stenogrammi e parole,
ecc. questi esercizi possono essere spinti al punto di “pensare” in
caratteri stenografici.
22 – L’autodettatura
In mancanza di un dettatore si può ricorrere
all’autodettatura, stenografando brani che si
conoscono a memoria, poesie, canzoni o brani improvvisati. Si può immaginare di
tenere un discorso politico o scientifico sostenendo la triplice parte
dell’oratore, del pubblico e dello stenografo, con il vantaggio di una…
generale comprensione. Maggior beneficio può trarsi dall’autodettatura
se il discorso verrà pronunciato ad alta voce “stenologando”
come dice il Molina o “stenofonando”
come dice il Cerchio.
23 – Altri metodi ausiliari
V’è chi consiglia di scrivere sempre i propri
appunti in stenografia, chi prescrive di stenografare tutte le parole del
giornale quotidiano, chi suggerisce di andarsene per la via scrivendo in aria
col dito indice i propri pensieri (evitando, se possibile, di finire sotto
l’autobus…). Altri ammoniscono: “Copia tutto, prima lentamente e poi più
velocemente”.
24 – Le alte velocità
Sarebbe preferibile che su questo tema
scrivessero i campioni: chi meglio di loro può indicare i
problemi stenografici relativi alle velocità superiori?
Il Boni è dell’opinione che
alle alte velocità giochino essenzialmente i fattori grafici, ma Nataletti, Gregg
e Galletti affermano che si stenografa col cervello, non colle
mani. “La velocità è in funzione, più che della brevità dei segni, del
minore sforzo cerebrale che occorre per tracciarli; l’allungamento del
tracciato è molte volte ottico, non dinamico”. Ma con la Fonostenografia italiana di Meschini
– sistema geometrico di una sbalorditiva brevità di tracciato –
la Reggiani raggiunse la velocità spettacolare di 252
par/min. Non si sa come andassero le cose in fatto di rilettura ma la
velocità raggiunta dimostra che la brevità del tracciato incide (eccome!) sulla
velocità. Nataletti era convinto, per
esempio, dell’impossibilità di creare un sistema migliore del Taylor,
che egli trovava leggibilissimo e velocissimo.
Il Cerchio, pur ammettendo che
il lavoro intellettuale avrà sempre in stenografia il primo posto, è contrario
alle abbreviazioni cerebrali poiché crede che una operazione mentale richiede
più tempo di una operazione meccanica; ma conclude infine affermando che la
conquista della velocità è un trionfo del pensiero.
G. tende alle abbreviazioni cerebrali ma
sulla base di una meccanicità di carattere inferiore che sostenga il compito
più elevato.
La questione delle alte velocità non è ancora
chiara, ma la necessità culturale dell’alta stenografia non è
discussa. Se la cultura e l’intelligenza non ci
sono, la stenografia può crearle solo in parte. Non è quindi detto che
l’allievo ben formato con metodi razionali possa divenire un “ottimo”
stenografo pratico, come non è negabile che un formidabile pasticcione
empirico, dotato di cultura e di cervello, riesca a fissare come si deve il
discorso di un velocissimo oratore.
25 – Conclusione
I procedimenti razionali sono dunque
innegabilmente superiori a quelli empirici. La necessità di testi per la
conquista della velocità si fa sempre più sentire. I metodi che
possono essere applicati ai nostri sistemi e alla nostra lingua
debbono certamente scostarsi un poco da quelli francesi. Ma l’empirismo va
ovunque sostituito dal razionalismo, da un razionalismo illuminato,
che non rinneghi, nell’applicazione pratica, gli elevati principi culturali ed
intellettuali cui si ispirano i sistemi stenografici degni di questo nome.