Vasco Ronchi Sui fondamenti dell’acustica e dell’ottica

Olschki, Firenze 1967 – Fondazione Giorgio Ronchi IX

 

Commento al § 2-6 del PSSC (pag. 57-58)

 

Anche il paragrafo successivo, che ha il titolo “2-6. Confronto dei tempi; unità di misura”, contiene delle locuzioni e delle idee degne di rilievo. Così resteranno sorpresi i matematici quando leggeranno che “Il concetto della matematica più importante per la fisica è il contare. Per misurare gli intervalli di tempo i fisici semplicemente contano in secondi”. Veramente il contare, più che un “concetto” mi sembra una operazione; ma più che altro mi sembra un po’ esagerato, direi quasi fuori luogo, considerare questa operazione come il contributo più importante che la matematica ha dato e dà alla fisica. Che poi il fisico “semplicemente” misuri in secondi gli intervalli di tempo, non mi pare proprio corrispondente alla realtà. Direi quasi che questo piccolo brano sia un po’ ameno. Si noti bene che dice che i fisici “contano in secondi” gli intervalli di tempo; e chi legga questa frase, interpretando i termini secondo il significato che hanno nel linguaggio comune (e gli studenti diciassettenni non possono fare diversamente) non può (che) restare allibito di fronte alla triste sorte dei fisici, che, “semplicemente” contano in secondi i tempi con cui si svolgono avvenimenti di qualsiasi durata, come ad esempio l’intervallo di tempo che impiega una nave a fare il giro del mondo. Altro che “semplicemente”!

Incomprensibile è poi la nota a piè di pagina, annessa con l’evidente scopo di dire agli studenti che cosa è un secondo. Chi sa perché, dopo aver preteso che essi conoscessero galassie e multiflash, ora l’A. si pente e vuol dire che cosa è un secondo, che certamente gli studenti conoscono meglio di una galassia o di un multiflash. Però il modo in cui vien data la definizione è piuttosto strano: la nota è così carina che vale la pena riportarla per intero: “minuto, come dice il termine, è una piccola frazione di un’ora; la sessantesima parte di un minuto è una specie di minuto del minuto. Un tempo essa veniva chiamata minuto secondo. Ora abbiamo abbreviato l’espressione e diciamo semplicemente secondo”. Interessante, questa piccola storia; ma in sostanza il secondo è la sessantesima parte del minuto; ma il minuto è “una piccola frazione” di un’ora. Anche ammettendo che sia definita l’ora (che nessuno ha definito, ancora, in queste pagine; anzi mi pare che sia la prima volta che viene nominata) l’incertezza rimane sempre totale, perché non è detto quanto è la “piccola frazione” di ora che si chiama minuto.

Non si capisce proprio perché sia stata annessa questa nota a piè di pagina (ed è proprio la prima del genere, dall’inizio del volume) non solo perché non dice molto, ed anzi dà un insegnamento controproducente, quale quello di abituare a dire delle frasi indefinite, ma poi proprio nella stessa pagina è trattata la definizione del “secondo”.

Difatti in questi paragrafi si parla anche delle unità di misura del tempo, come è premesso nel titolo; e si enunciano delle regole classiche, come la seguente: “L’importante è che una unità di misura venga definita senza ambiguità e si possa facilmente riprodurre in modo che sia utilizzabile da chiunque”. Ma appena enunciata questa bella regola l’A. non se la sente di restarvi fedele, e subito, senza altro intervallo che il passaggio a capo, scrive: “Un secondo è definito approssimativamente…”.

Non mi pare che l’“approssimativamente” vada d’accordo con la definizione “senza ambiguità”. E così dopo una breve descrizione del passaggio dal giorno solare a quello medio (e “gli astronomi sanno calcolare con grande precisione l’istante esatto…” del passaggio del sole al meridiano, e ciò quando l’unità di tempo è approssimata) si arriva a stabilire che: “Pertanto il fisico definisce normalmente il secondo mediante l’accurata manutenzione e il controllo dei più precisi orologi che si trovano negli osservatori astronomici”.

È interessante che il secondo si definisca mediante una manutenzione e un controllo di orologi. È veramente un modo nuovo di esprimersi, questo. Inoltre l’A. non tenta neppure di mettere questa conclusione in accordo con la regola generale data sopra; perché non si direbbe che i “più precisi orologi che si trovano negli osservatori astronomici” siano “utilizzabili da chiunque”.

L’A. mette in evidenza la complessità del problema del tempo e conclude: “si tratta piuttosto di che cosa si deve intendere con il concetto stesso di tempo”. Poco sopra aveva detto che il concetto di tempo, come quelli di spazio e di materia, era “abbastanza familiare a tutti noi”, anche se “assai difficile a definirsi”. Ora la familiarità è scomparsa ed è sostituita da una perplessità profonda. E l’A. conclude: “Riteniamoci soddisfatti all’idea che gli orologi a pendolo protetti con la più grande cura o i più recenti orologi elettronici… scandiscono tutti accuratamente il tempo”. Cosicché ognuno di noi ha il “senso del tempo”, ne ha un “concetto familiare”, riconosce che è “assai difficile a definirsi”, e in conclusione si prende per buono quello che ci danno gli orologi campione, rinunziando a sapere che cosa sia il tempo.

La questione di fondo non perdona.

L’A. spera nel futuro: “Uno dei compiti dei fisici di domani è quello di far progredire ulteriormente questo problema”. Speriamo che sia quello di farne progredire ulteriormente la soluzione.

Il paragrafo 2-6 si chiude con una precisazione a proposito degli “intervalli di tempo”, di cui ora definisce il significato, mentre già prima aveva detto che il fisico li misurava “semplicemente contando in secondi”. Nell’insieme il panorama è piuttosto pessimista.