émile Javal – Tra i ciechi

Consigli ad uso delle persone che vengono a perdere la vista

Parigi 1903

(Traduzione e riassunto di Andrea Gaeta)

 

INTRODUZIONE

Ha perduto la vista improvvisamente ad un’età relativamente avanzata (62 anni). Stranamente non ha trovato bibliografia su come affrontare questa infermità. Forse la sua estrazione di oculista gli è stata utile per osservare cose che ad altri sfuggono. Cenno a Omero, Huber, Thierry, Milton, Rodenbach.

Si considera un “parvenu della cecità” e scrive per i suoi compagni di sventura. Dà anche consigli ai suoi colleghi oculisti su come indirizzare al Braille le persone che si avviano alla cecità.

Triciclo-tandem, igienico, per fare movimento.

 

1 – SERVITÙ E LIBERTÀ

Guilbeau, fondatore del Museo Valentin Hauy, sostiene che i ciechi si rammaricano non di non poter godere dei paesaggi e dei colori, ma di essere impediti nelle mille piccole azioni della vita quotidiana. Se questo è vero per i ciechi nati, lo è ancora di più per quelli che per molti anni della loro vista hanno usato gli occhi. Il cieco non può controllare le asserzioni altrui e, se non può fidarsi di quelli che gli stanno intorno, la sua vita diventa intollerabile.

Impossibile conservare il segreto nella corrispondenza coi vedenti. Meglio avere un lettore a pagamento. Cenno ad Antigone. Tutti gli sforzi devono tendere al massimo della libertà e indipendenza.

 

2 – SUPPLIRE LA VISTA CON GLI ALTRI SENSI

Falso che la cecità acuisce altri sensi. È contrario alla teoria delle sensazioni e all’esperienza credere, per esempio, che un cieco, a forza di esercizio, finirà a sentire un orologio a una distanza maggiore di quella di prima. Ciò non toglie che il cieco tragga partito da certe sensazioni che al vedente sfuggono. La voce dell’interlocutore dà una miriade di informazioni. La diversità della stretta di mano è infinita. Questa si può riconoscere a distanza di anni, come fosse un volto. Aumentano le informazioni fornite dagli altri sensi, anche se non c’è nessun affinamento dell’udito, del tatto e dell’odorato.

 Eccellente esercizio portare il cieco a teatro per affinare l’udito. La recitazione è un eccellente esercizio per apprendere a classificare le voci secondo il loro timbro e a notare le loro particolarità. Riconoscere un interlocutore dalla voce fa orientare un cieco in una riunione di più persone.

Un cieco esperto riconosce, dal rumore dei passi, se il suolo è secco o umido, se cammina vicino ad un muro, se la stanza è grande o piccola. Il cieco produce anche dei piccoli rumori ad hoc, con l’apposita canna o con un piccolo schiocco di labbra per valutare le risonanze prodotte.

C’è sempre un’impressione uditiva che si perfeziona utilmente e rapidamente: quella delle sfumature che tradiscono un sentimento involontariamente espresso. Senza gli indizi dati dall’espressione del viso e dai gesti involontari dei suoi interlocutori, il cieco è più attento alle intonazioni e può trarre un notevole profitto nell’arte dell’ascolto nella quale egli deve cercare di diventare maestro.

Anche l’odorato dà informazioni. Il tabacco oblitera il fiuto.

Il tatto, poi, è il più prezioso dei suoi sensi e con l’esercizio ne può aumentare non tanto la sensibilità quanto l’utilizzo.

Un vedente che mette il dito sulla scrittura Braille è incapace di sentire la disposizione dei punti che invece un cieco esercitato riconosce senza esitazioni. Non è mancanza di sensibilità, ma solo che il vedente non sa tastare. Non è una sottigliezza, infatti all’inizio usava solo l’indice della mano destra e gli venne molto difficile leggere con quello della sinistra, malgrado la sensibilità del destro fosse diminuita per l’usura. Sotto questo dito, specie dopo aver letto molto, i punti sembrano molli e cotonosi (flaccidi), mentre al dito sinistro appaiono pungenti, piccanti. Però malgrado questa superiorità l’indice sinistro è molto più maldestro a leggere che non il destro. Anche altri ciechi hanno constatato il fenomeno.

Il cieco più esercitato non riconoscerà sempre una lettera Braille appoggiandovi il dito. I punti e la loro posizione relativa si percepiscono facilmente solo per lo sfregamento esercitato sulla pelle del dito. E perché la percezione sia netta è necessario che questo sfregamento non sia né troppo lento né troppo veloce. Uno dei segreti inconsapevoli del lettore cieco è di muovere il suo indice con la più grande velocità compatibile con la percezione dei punti, appoggiando quel tanto che basta per non affaticare la sensibilità tattile. Vi è in questo tutto uno studio fisiologico da intraprendere, analogo a quello che a suo tempo ho fatto sulla fisiologia della lettura dei vedenti. I ciechi che si danno ai lavori manuali trovano spesso vantaggioso servirsi, per leggere, dell’indice sinistro la cui epidermide è meno spessa. È vantaggioso leggere all’inizio opere che si conoscono già. Bisogna leggere ad alta voce e indovinare le parole in modo da non cessare di muovere il dito con la rapidità più favorevole al tatto.

Nell’istruzione dei giovani ciechi gli si mettono in mano dei piccoli oggetti per insegnargli le forme; niente di simile invece per il cieco non nato tale. Per gli schizzi di geografia va bene. Vasi sanguigni e nervi in rilievo adatti per massaggiatori.

Il bastone di cui si servono i ciechi è una prolunga del senso tattile. Questo toccare a distanza è ben più delicato se si usa una leggera bacchetta. Io non mi separo mai da una bacchetta di spino che mi è stata regalata dal mio caro collega Vosy. Essa mi serve per così dire da antenna e mi dispensa dal portare le mani avanti quando circolo. A circa 25 cm dall’impugnatura è attaccato un cordone di uguale lunghezza che termina con un bottone o gancio che si aggancia nella bottoniera del vestito. Così io stacco la bacchetta solo per la passeggiata. Si può usare con la sinistra senza bisogno di staccarla (?). Si evita di romperla sedendosi distrattamente, come mi era accaduto quando il cordone troppo corto era attaccato alla testa (?). All’uscita dal teatro, in mezzo alla gente o visitando un appartamento sconosciuto io cammino preceduto da questo bastoncino di cui faccio oscillare orizzontalmente la punta ferrata vicino al suolo. Per strada, al braccio di una persona, specie se donna, mi sento molto più sicuro quando ho in mano una canna per tastare al bisogno gli ostacoli (sesto senso). Gli snob snobbano questo bastone.

 

3 – OCCUPAZIONI DOMESTICHE

Lavorare al tornio, rilegatoria, falegnameria, ecc.

 

4 – OCCUPAZIONI PROFESSIONALI

Contribuire alla società, membro utile. Bonnet. Lemaire. Sommer. Sorbona. Vosy. In Giappone i ciechi hanno il monopolio dei massaggi. Panierai, lavoratori di sparto, seggiai, spazzolai, organista, accordatore di pianoforti.

Un musicista, divenuto cieco, senza dubbio, se non è troppo vecchio, potrà apprendere il mestiere di accordatore di piano, ma questa posizione sociale non può essere brillante. E neanche come professore di pianoforte: non potendo sorvegliare la tenuta delle mani dell’allievo, né decifrare (= leggere a prima vista) assieme a lui, il professore cieco non può sperare che in lezioni con lo sconto. Ho conosciuto dei ciechi che davano lezioni di lingue straniere, ma a basso prezzo. I ciechi pervenuti sono più maldestri dei ciechi nati.

Per il cieco lo studio dell’ortografia è di una enorme difficoltà. Se vi riesce, con molta perseveranza e sforzo, può fare il dattilografo. È vero che in generale i dattilografi sono anche stenografi, ma il cieco può limitarsi a dattiloscrivere facendosi dettare da un aiutante poco letterato, o anche con l’intermediario di un fonografo in cui il padrone ha “stenografato” la lettera da battere.

Helmholtz[1] mi raccontò, nel 1867, che per la scelta dei suoi lavori egli aveva una specie di inventario delle sue attitudini matematiche, musicali, fisiologiche e di anatomia e dei mezzi disponibili nel laboratorio di Heidelberg. Considerando che tutte queste circostanze raramente si trovano assieme ne preconizzò che poteva fare scoperte sfuggite ai matematici. Analogamente il cieco divenuto deve sfruttare al meglio le sue risorse.

 

5 – PULIZIA, IGIENE, SALUTE

Polvere sul passamano. I ciechi non amano i guanti. I vestiti dei ciechi si sporcano molto ad esempio di fango, inzuppati d’acqua, pozzanghere. I locali abitati hanno una sonorità nemica di una buona acustica. Javal preferisce una stanza dove i muri sono tappezzati.

Igiene: i libri in Braille possono essere un veicolo di contagio maggiore dei libri in nero. Consiglia di non umettare con la lingua il dito che deve leggere. Quando la pagina è polverosa, o quando la sensibilità del dito comincia a smussarsi si può restituire al tatto un po’ di finezza sfregando il dito su una stoffa un po’ rigida dopo averla umettata.

Si deve dedicare la massima attenzione all’igiene perché la malattia per un cieco è più penosa che per un normale. Moderare i piaceri della tavola. Lasciare però il caffè, il tabacco e l’ammazza-caffè. Klein fece bene a introdurre la ginnastica alla scuola di Vienna. Esercizi agli attrezzi, uscire a piedi o in triciclo. Combattere la noia. Ginnastica da camera.

 

6 - ABITAZIONE

Per il cieco il trasloco è un disastro: una cosa al suo posto e un posto per ogni cosa (Franklin). Non è necessario non lasciare le porte semiaperte: una capocciata non fa male, e poi c’è la canna. Punti di riferimento. In un giardino mi sento perduto, tanto che ho fatto mettere una cordicella su un itinerario determinato in modo che circolo come un tram guidato dal suo trolley.

Leggere, anche mentre si cammina, un libro a punti in rilievo.

Borsa d’acqua calda. Avere un fischietto in tasca per chiamare qualcuno. Oppure usare quel mezzo di richiamo degli orientali di battere tre dita della mano destra sul palmo della sinistra leggermente incavata.

 

7 - PASTO

Salvietta, spettacolo penoso per i commensali di un cieco e i vicini di tavolo. Mostarda. Lische di pesce. Buon umore. Conversazione. Ristoranti.

 

8 – OROLOGI E PENDOLI

Orologi senza vetro. Cucù della Foresta Nera, cipolle. Il bilanciere rumoroso che si sente per tutta casa è un buon mezzo di orientazione. Con due pendoli non perfettamente sincronizzati il primo gli serve da avvisatore per fare attenzione ai colpi del secondo. Sapere, di notte, che ora è contando gli scatti del cricchetto della carica (data sistematicamente ad un orario fisso).

 

9 – MUOVERSI IN CITTÀ E IN CAMPAGNA

Scuola guida per ciechi, in città e in campagna. Molti ciechi usano un ragazzino come guida. Cane barbone. Guinzaglio, cartello al collo. Gridare: cieco, cieco, cieco! Occhiali neri, Sommer. I ciechi percepiscono benissimo la pendenza della carreggiata stradale. Preferibile portare scarpe con suole non molto spesse. Dal rumore della canna si capisce se un ruscello è secco o no. Sonorità dei passi (senso degli ostacoli). Si capisce se una persona si fa da parte per far passare il cieco. È bene che il conduttore sia pratico. Nei sentieri stretti e nei boschi con una mano si tiene un bastone e con l’altra un altro bastone orizzontale tenuto all’altro estremo da una guida esperta: con un po’ di pratica questo bastone diviene un mezzo di comunicazione assai sicuro.

Armitage ama montare a cavallo.

Venditori ambulanti ciechi che fanno chilometri da soli. Circolano più facilmente di notte.

Imprudente affidarsi ad un vetturino sconosciuto: lo possono derubare.

Si è esercitato ad attraversare la strada dove abita per andare ad imbucare le lettere.

 

10 – TRICICLO TANDEM

Evitare la sedentarietà, far lavorare muscoli motori, la passeggiata in triciclo è meglio di quella a piedi. Contropedale. Articolo su Le Vélo. Pericolo di incidenti o di rottura della catena. Parafango. Strade dissestate. Scartamento delle ruote per evitare di ribaltare.

 

11 - VIAGGI

Naegeli: Le avventure del viaggiatore cieco Birrer. Venuto da Lipsia a Parigi da solo.

Mettere il piede destro sul marciapiedi più basso. Sommer. Monnier. Viaggio a Londra. Per salire su una vettura bisogna partire col piede giusto. Se si parte col sinistro si è perduti.

 

12 – RELAZIONI ESTERNE

Frequenti visite alle Società di Fisica e di Biologia (Circoli). Domanda sempre: Chi è che parla? (come al telefono).

 

13 - LETTURA AD ALTA VOCE

Per il cieco farsi leggere è una grande risorsa, ma ben inferiore alla lettura personale!

Per un romanzo non ci sono problemi, ma ascoltare il giornale è penoso: occorrono due ore per leggere ad alta voce poche pagine di giornale: provare per credere! In effetti il vedente anche poco colto scorre il giornale e realmente non ne legge che un quarto e quello che legge lo divora con uno sguardo ad una velocità che nessuna parola umana potrebbe raggiungere.

Si faccia la prova: ci si sorprenderà della differenza di velocità a vantaggio della lettura mentale. Seguire la lettura del giornale da cima a fondo potrebbe essere accettabile al più per i poveri ciechi degli ospizi, che ascoltano insieme, come in una classe, la lettura di un quotidiano (ad esempio il Rappel).

Il lettore dovrebbe conoscere il gusto del cieco per selezionare articoli o notizie di suo interesse. Ed in ogni caso tale lettura non potrebbe mai rimpiazzare la lettura con i propri occhi, che cambia costantemente d’andatura, accelerando o rallentando secondo che una frase merita o no di fissare l’attenzione.

Se, con molta buona volontà e intelligenza, chi sta attorno al cieco gli può far conoscere il contenuto di un giornale, non è lo stesso per le riviste specializzate, specie se in lingua straniera. Purtroppo per questi motivi non ha potuto tenersi aggiornato sui progressi dell’oftalmologia. Spesso il lettore a pagamento salta delle pagine intere perché lo annoiano.

Una persona che si sente sullo stesso piano culturale del cieco difficilmente tollera che questi prenda note nel corso della lettura, sia in scrittura ordinaria che in Braille. Egli s’impazientisce se noi lo fermiamo a questo scopo, mentre se lo lasciamo continuare mentre scriviamo si lamenta della nostra disattenzione (inattention, mancanza di riguardo). Leggere a un cieco non è piacevole.

Si è fatto leggere, dalla sua prima lettrice, L’arte della lettura di Legouvè, ma questa ne ha recepito poco il principio base che bisogna fermarsi a lungo nei segni di interpunzione. Ho dovuto rimpiazzarla e mi devo contentare di un lettore mediocre.

Salvo rare eccezioni nessuno rispetta sufficientemente la punteggiatura leggendo ad alta voce. A questo riguardo vale ampiamente la pena di educare un lettore che si abbia la fortuna di tenere a lungo. Durante le prime sedute bisogna esigere assolutamente che dopo ogni frase faccia una sosta prolungata: per il lettore è un utile riposo, mentre l’ascoltatore ha la possibilità di trattenere più o meno quello che occorre capire. Se il lettore non si ferma a lungo ad ogni punto la frase seguente, per così dire, cancella dalla nostra memoria la precedente. Inoltre le soste sono inconsciamente utilizzate dal lettore per leggere mentalmente il seguito col risultato che darà poi una migliore intonazione.

Il lettore deve “leggere” anche le variazioni tipografiche, le virgolette, le parentesi, i cambi di carattere, ecc. Se si tratta di una lettera bisogna iniziare a leggere la firma; se si tratta di una nota si deve dire: fine della nota, inizio della nota[2].

Un lettore inesperto passa sotto silenzio i titoli dei capitoli o i numeri dei paragrafi.

Si può trovare grande piacere a farsi leggere passeggiando in lungo e in largo in un giardino. È un godimento dello spirito e una pratica igienica. È bello circolare liberamente, camminando a fianco del lettore e guidati dal suono continuo della sua voce. Povero lettore!

Alcuni ciechi hanno un lettore-segretario a ore, ma Javal non vuole essere schiavo di orari e preferisce utilizzare al momento chi capita.

Durante le vacanze ha assegnato delle parti ai propri numerosi nipoti e si è fatto recitare dei pezzi teatrali. I bambini si sono tanto immedesimati da imparare l’arte così utile di leggere ad alta voce e da grandi si ricorderanno della gioia donata al loro nonno.

 

14 - SCRITTURA A MANO

Bisogna distinguere il cieco nato da quello divenuto tale. Al cieco nato è impossibile apprendere la scrittura normale, mentre per chi nella sua vita ha scritto molto non è una cattiva idea continuare a farlo, malgrado la privazione della vista. La scrittura in punti, ideata un secolo fa dal capitano Barbier, di cui Braille fu l’Amerigo Vespucci, è usata quasi solo negli istituti dei ciechi e credo che possa svolgere un ruolo secondario tra i mezzi di cui l’uomo che ha perso la vista ad una età relativamente avanzata dispone per scrivere il suo pensiero.

Chiunque può sincerarsene: niente è più facile che scrivere qualche parola senza vedere, la difficoltà comincia quando si tratta di scrivere diverse righe evitando che si ingarbugliano. Si possono però usare carte pieghettate a fisarmonica o guidamano vari (placchette scotografiche). Lui ne ha brevettata una descritta ne La Nature del 1901, che lascia libertà di movimento alla mano (perché, in genere le guide sono un ostacolo che rallenta o deforma la scrittura). Qui Javal cita tre suoi articoli su meccanismo e fisiologia della scrittura, distinzione tra movimenti isocroni del polso e movimenti delle dita, cremagliera, comoda penna a serbatoio. Meglio scrivere ad inchiostro che a matita perché è molto difficile al cieco rendersi conto dello stato della punta della matita che, allargando a sua insaputa i tratti, può rendere la scrittura indecifrabile.

Usando la penna il cieco può credere di scrivere, mentre invece la pagina resta bianca. Ricorre allora ad una banda stretta di carta non incollata, simile alla carta carbone. Per sapere se la penna marca gli basta tracciare un tratto di traverso alla banda. Se l’inchiostro è colato esso bagna la carta e ne diminuisce la resistenza alla rottura. Se la strisciolina si rompe con un leggero sforzo conclude che la penna ha funzionato. Presenta un saggio di manoscritto (al guidamano) che i suoi amici giudicano abbastanza leggibile. Col gomito appoggiato e imperniato lui fa avanzare la carta di circa 1 cm con il movimento combinato delle dita della mano sinistra. Con la sua placchetta l’interlineatura è più regolare. Volendo usare la matita preferire almeno il tipo Koh-i-Noor che marca ben nero pur essendo molto dura.

 

15 - MACCHINA DA SCRIVERE E FONOGRAFO

I ciechi che avevano una brutta calligrafia è meglio che usino la macchina da scrivere, specie se non sono molto anziani e possono imparare presto, sfruttando per più tempo il loro sforzo di apprendistato.

In luogo di mettere le lettere Braille sui tasti è preferibile imparare la tastiera a memoria, e il cieco può aiutarsi con un cartoncino in cui ha copiato in Braille la disposizione della sua tastiera.

Ha invitato alcuni sui pazienti minacciati di cecità a impratichirsi della macchina da scrivere, specie se riuscivano ancora a vedere le grosse lettere sulla tastiera. Questo consiglio è inadatto per i vecchi perché, se è vero che si può imparare a dattiloscrivere ad ogni età, ciò non significa che si perviene rapidamente a fare un atto così incosciente e così automatico come la scrittura. Fintanto che quest’automatismo non è raggiunto la dattilografia è di modesta utilità per il cieco perché egli non può scrivere, come invece fa il vedente, da una minuta. Non può fare cancellature, ma è obbligato a costruire interamente ogni frase prima di cominciare a scrivere.

Un redattore cieco raccoglie le notizie al telefono, le dattiloscrive e le passa in tipografia.

Esistono macchine che danno fogli leggibili dai vedenti e dai ciechi, ma finora sono imperfette. Se il corrispondente usa una di queste macchine può scrivergli in Braille senza conoscerlo e lui può leggere senza testimoni.

Per il cieco, come per il vedente, il mezzo più rapido di scrivere il pensiero è il fonografo. Gli inconvenienti di questo strumento sono: le enormi dimensioni (non portatilità), la breve durata del rullo (max 3 min) e il prezzo alto e addirittura proibitivo con rullo ½ ora.

In molte ditte americane il capo detta il testo alla macchina, i rulli così impressionati, sono distribuiti ai dattilografi. Niente impedisce ad un uomo di affari o ad un letterato divenuto cieco di utilizzare così il fonografo.

Per conto mio mi servo volentieri del fonografo per confidargli il piano di un lavoro, che gli faccio in seguito ripetere articolo per articolo, man mano che avanzo nella mia redazione. Se anche l’amico possiede un fonografo possiamo scambiarci i rulli.

Sembra che la nuova invenzione del grammofono sia molto superiore al fonografo.

 

Lettura e scrittura Braille (95)

Nelle scuole speciali la scrittura a punti, conosciuta col nome di Braille, è la pietra angolare dell’istruzione. Così, quando un adulto viene a perdere la vista, il primo consiglio che gli istitutori dei ciechi gli danno è di mettersi a studiare il Braille, consiglio forse utile, ma al quale gli amici dei ciechi attribuiscono forse un’importanza esagerata.

La lettura Braille è una risorsa per le ore di solitudine. In caso di insonnia un libro in rilievo è un compagno incomparabile. Per segnare il punto fin dove si è letto utilizza una comune grappetta, oppure si fa un punto in rilievo a fianco del rigo. Per scrivere in Braille bisogna usare il lato “verso” e scrivere da destra a sinistra.

La lettura Braille, così preziosa per i ciechi nati, non è che un ripiego, a causa della sua eccessiva lentezza. Il numero di ciechi capaci di leggere ad alta voce un testo in Braille con una rapidità sufficiente affinchè l’ascolto di tale lettura sia tollerabile è molto esiguo.

Tutti i miei corrispondenti istruiti, salvo quelli che hanno perduto la vista molto presto, sono unanimi a ridurre al minimo, a causa della lentezza, la scrittura e soprattutto la lettura in punti (esempio Riggenbach: è snervante, meglio dettare e farsi leggere…).

La lettura Braille è ancora più penosa per letture di diletto o per libri che si vorrebbero solo scorrere o sfogliare. Ciò è dovuto al fatto che il dito può toccare solo una lettera alla volta mentre il vedente percepisce in media 7 lettere a ogni movimento che fanno gli occhi quando lo sguardo si sposta lungo le linee stampate. Quindi, per motivi fisiologici, la lettura “digitale” è almeno 7 volte meno veloce di quella con gli occhi (v. Lamarre).

Vero è che, in ogni lingua, esiste un’ortografia abbreviata del Braille, dove il guadagno, come nel caso francese, può arrivare a 1/3 per la carta e ¼ per il tempo, ma questo vale solo per lo scrittore perfettamente esercitato. Per il lettore l’esperienza insegna che l’aumento di velocità è nullo.

Nel 1900 Hall ha costruito un’eccellente macchina per scrivere in Braille, con 3 tasti azionati con la mano destra e 3 tasti con la sinistra: si capisce allora che la velocità è la stessa sia per i caratteri di un punto che quelli più complessi. Si può scrivere ad una velocità tripla della scrittura a mano. Le controindicazioni sono il prezzo elevato, l’eccessivo peso e l’eccessivo rumore. Certamente questi inconvenienti un giorno spariranno, ma la tavoletta tascabile non sparirà mai.

Per le operazioni aritmetiche c’è la lavagna di Schleussner o il cubaritmo (v. Barazer).

Fuori casa il cieco divenuto da adulto utilizza una tavoletta da tasta, es. di alluminio. Si può utilizzare come rubrica. Purtroppo quella standard ha le caselle troppo piccole per lui.

Il Braille gli serve anche per etichettare i suoi faldoni, spesso costruiti con cartone di recupero, ma di qualità. Infatti anche se usa carta già scritta il cieco non se ne avvede…

I fogli inviati per posta possono essere pressati al punto da far perdere il rilievo.

È facile apprendere il Braille senza maestro, grazie ai libri di esercizi in commercio. Consiglia quello del cap. Mouchard e uno scritto da lui (Associazione Valentin Hauy).

È meglio, all’inizio, dedicarsi anima e corpo, da esserne ossessionati la notte, senza tuttavia oltrepassare il limite dell’attenzione sostenuta e senza smussare troppo la sensibilità delle dita. Servirsi, per leggere, dei due indici messi uno accanto all’altro spostandoli contemporaneamente; alternare la scrittura e la lettura; memorizzare la tavola di Braille. In poche settimane si avranno buoni risultati. Se occorre usare listelli di formato più grosso, tipo Praga o il Blind di Londra.

Più il cieco è giovane, e quindi isolato, più gli è necessario familiarizzarsi col Braille. Nei paesi civilizzati c’è una vasta biblioteca in Braille e giornali come Le Louis Braille.

Purtroppo la maggior parte dei libri, compresa la Revue Braille, sono stampati abbreviati e le differenze di abbreviazioni nei vari paesi sono tanti e tali che difficilmente un cieco può leggere una lingua straniera. Tutti concordano che lo studio delle abbreviazioni deve essere fatto quando e solo se si è padroni del Braille ordinario.

Prima di analizzare la velocità di lettura/scrittura dei ciechi diciamo qualcosa in generale. Sottinteso che nel conteggio, così come fanno i dattilografi, le parole con apostrofo (l’uomo) contano per una e che si devono segnare maiuscole, accenti e punteggiatura.

Si può stimare la lettura mentale, quella che conta realmente, intorno a 500 parole/min. Un oratore medio arriva a 150 parole/min; un dattilografo provetto può scrivere per ore alla media di 40 parole/min (il record è 67 par/min); quindi si può dire che, grosso modo, la velocità dattilografica è 4 volte minore della lettura a voce alta. Io stimo che la rapidità di una scrittura perfettamente leggibile è di 20 parole/min, cioè metà della dattilografia. Una scrittura estremamente rapida, sopprimendo gli accenti e i puntini sulle i, ma non la punteggiatura, leggibile senza esitazione per chi che l’ha tracciata, può arrivare a 35 p/m.

I telegrafisti provetti trasmettono in Morse 25 parole/min (di 5 lettere), ma si dispensano dal differenziare maiuscole e accentate: è dunque una velocità comparabile a quella ordinaria. L’impiegato ricevitore di una trasmissione Morse, che percepisce il dispaccio a udito, scrive dunque facilmente a penna. Tutti concordano nel dire che l’orecchio legge ancora i telegrammi, senza esitazione, con velocità molto più grandi.

La rapidità del Morse è limitata unicamente dalla velocità di manipolazione alla partenza.

Nel 1856, poco tempo dopo l’invenzione del Morse, un alto funzionario dei telegrafi francesi, Charles Bourseul, ebbe l’idea che il suo alfabeto avrebbe potuto essere usato per i ciechi a preferenza del Braille, e costruì un apparecchio simile al manipolatore Morse, funzionante senza movimento di orologeria, per scrivere il Morse in rilievo. Dopo i nuovi progressi della telegrafia sarebbe facile costruire un apparecchio simile, con i segni sostituiti da due linee di punti perforati che permetterebbero di leggere a udito le bande ottenute con l’apparecchio di iscrizione.

Arriviamo al Braille: di tutte le scritture è la meno rapida, soprattutto per chi impara tardi: 4 parole/min. Il cieco più esercitato non arriva a 8 parole. Con l’abbreviazione qualcuno arriva 10 parole/min, ma a scapito della leggibilità, perché con la prescia si fanno errori e si scrive male a punti rilevati, specie con le tavolette rigate.

La lentezza del Braille è ancora più marcata quando si tratta della lettura. Io arrivo a leggere 20 parole/min. Molti ciechi arrivano a 60, pochi a 100, pochissimi a 120. Il sig. De Menieux, bibliotecario dell’Associazione Valentin Hauy, caso eccezionalissimo, legge 200 parole/min. Nel momento in cui il suo indice destro raggiunge la fine di una riga l’indice sinistro ha già percorso la metà circa della riga seguente; la lettura mentale della mano sinistra precede di una quantità variabile la lettura della mano destra, la quale probabilmente precede più o meno la parola. La lettura del Braille abbreviato è meno rapida del Braille normale. I ciechi nati accettano queste lentezze esasperanti perché non conoscono i godimenti che i vedenti traggono dalla lettura.

Per il tedesco le statistiche si abbassano perché usa molte parole composte. L’inglese è la lingua più rapida (bus, stop, go, ecc.) e anche qui non si può fare il confronto. Huey sostiene che un inglese ha letto mentalmente 800 par/min e ad alta voce 360 par/min.

Chi vuol conoscere la storia della scrittura a punti in rilievo può leggere il recente libro manoscritto in Braille di Pagnerre. Nel 1820 Prony presentò all’Accademia delle Scienze un rapporto su un sistema di scrittura inventato dal cap. Barbier (v. Cuvier, Molard, Lacepede, istruzione sordomuti, 2 brochure che si trovano alla biblioteca Braille…). Da questa epoca Barbier indicò la superiorità per i ciechi di una scrittura a punti, che lui produceva con un regolo simile a quelli attuali (cellula rettangolare). Sotto la carta c’era una tavoletta rigata.

Tre anni più tardi (1823) Ampere e Lacepede fecero un nuovo rapporto all’Istituto. Barbier aveva portato due ciechi che sapevano leggere col suo sistema. Sorpresi dall’eccellenza del risultato i commissari fecero uscire uno dei due ciechi e dettarono una frase all’altro. Appena rientrò il secondo cieco lesse senza esitazione la frase che il suo compagno aveva punzonato. (io: sordomuti figli del sarto?) Così la scrittura a punti e i mezzi per tracciarla regolarmente sono opera di Barbier. Questi inoltre aveva disposto la piastra rigata in modo da potere essere istantaneamente tolta per permettere al cieco le correzioni. Braille dichiarò apertamente il suo debito a Barbier. Per 25 anni Barbier perfezionò a più riprese il suo sistema di punti a rilievo prima di giungere alla cellula rettangolare a 6 punti. Nel Mercure Technologique del 1822 c’è la descrizione dettagliata della fabbricazione di tale tavoletta.

In una tavola e in un volume della collezione Boissicat l’impressione in rilievo è perfetta e si vede che un analfabeta può apprendere a leggere in poche ore.

La pietra angolare del sistema è la tavola in nero seguente, che bisogna imparare a memoria. Questo lavoro di memoria, il solo richiesto da Barbier, è singolarmente facilitato dalla disposizione logica e deduttiva delle articolazioni inscritte nella tavola e che ricordano le articolazioni del celebre Couen de Prepean, il padre della stenografia francese.

Per il cieco ogni segno si compone di due file di punti, parallele e verticali. Il numero di punti della colonna di sinistra dà il numero d’ordine di una delle 6 righe; il numero dei punti della colonna di destra indica la colonna (rango della casella) della tabella in nero.

Esempio portato: Le cose utili non saprebbero essere troppo semplici.

Questa disposizione non è evidentemente propizia alla lettura rapida e, se io sono bene informato, Barbier fece il primo tentativo di impiegare la nostra cellula a 6 punti max.

È a Braille che si attribuisce a giusta ragione la scelta delle combinazioni di questi 6 punti

A mio avviso la scelta avrebbe potuto essere migliore. Braille aveva una istruzione rudimentale. Si applico con pazienza, ma il suo cervello non poteva spaziare sulle esigenze delle lingue straniere. Moldenhawer dice che le varie abbreviazioni Braille sono state concepite senza tener conto delle esigenze reciproche dei vari paesi. Lo stato pietoso delle relazioni internazionali dei ciechi è dovuto alla lentezza del Braille e alla torre di Babele delle abbreviazioni. Nessun cieco sa leggere due lingue abbreviate.

Tabelle di Braille in nero e in punti (50 segni). Linea tipo. L’allievo deve apprendere a memoria la forma dei primi 10 segni e l’ordine (in parte alfabetico) dei 50 segni. Per i ciechi come me questo è una cosa facile, ma per l’insieme dei ciechi è un inconveniente.

Meglio il sistema New York (2 x 3 e non 3 x 2) perché la parte sensibile del dito non fa leggere bene il piede della lettera. Anche nella scrittura ordinaria la testa del carattere è più significativa. Inoltre restano esclusi dalla combinazione di punti 13 segni (63 – 50).

La scrittura ortografica Braille guadagnò terreno grazie all’influenza di Guillè, Pigner e Guadet, il cui giornale Instituteur servì da legame tra le scuole di Parigi e le straniere.

Crede che questi uomini abbiano sbagliato ad abbandonare la buona via di Barbier.

Nella prima metà del secolo Klein, un austriaco del più grande valore, senza sapere nulla dei lavori di Barbier e Braille, combinò un alfabeto a punti leggibile dai ciechi e vedenti. Le lettere hanno 5 punti in altezza e questo rende lenta la lettura e soprattutto la scrittura.

Le scritture a tratti e punti di Vezien e di Mascaro sono facili sia a tracciare che a leggere

Ovunque, tranne in Francia, si è sostituita la tavoletta rigata di Barbier con una a cavette che obbliga lo scrittore a tenere il punteruolo (meglio punzone, perché in tecnologia impronta i metalli) ben perpendicolare e a formare così correttamente i punti. Barbier ricorse alla rigatura solo per ragioni di economia di fabbricazione. Consiglia ai commercianti di boicottare le tavolette francesi per quelle straniere a cavette.

 

Corrispondenza con i vedenti (113)

Vi sono due problemi: scrivere senza testimoni e scegliersi un lettore “fidato”.

Usabili macchine da scrivere, timbri tenuti in scaffali riconoscibili con etichette marcate. Scritta la lettera bisogna imbucarla da soli, senza mostrare il soprascritto a nessuno.

La ricezione delle lettere presenta più difficoltà. Gli sono stati necessari due anni per scoprire, per caso, che un cieco deve aprire da solo le sue lettere. Prima di farlo è bene che si faccia dire se vi sono indicazioni sul mittente, timbro postale, ecc. In genere il solo contatto della busta dà informazioni: un mendicante, una profumata di una donna, con cifre in rilievo, di un corrispondente abituale, ecc. Anche il foglio dà informazioni: carta da lettere, pubblicità, ecc. Una volta fattasi leggere la lettera lui la sigla con un punteruolo per riconoscerla e riprenderla al momento della risposta.

Un cieco si fa spedire fermo posta in un ufficio fuori zona, vi si reca con un vetturino e se la fa leggere da uno sconosciuto. Un altro accorgimento è rinunciare alla franchigia postale di cui godono i ciechi e farsi inviare in busta chiusa (per essere segreta).

Meglio se si fa scrivere in una lingua straniera e si sceglie un lettore che non la conosca.

 

Carte geografiche, piante e schizzi (116)

Si può fare un disegno con una rotellina imprimente, solo lo si deve leggere dallo stesso lato. Stampa su celluloide di fiumi, confini, cartoncino Bristol perforato. L’eccesso di dettagli impedisce la lettura al tocco. Ha fatto costruire dei fogli di carta cerata su cui incollare, a pressione, dei fili flessibili di piombo, che costano poco, degli spaghi, delle corde per chitarra, o anche fili di cotone (Schleussner).

 

Musica (120)

Felici i ciechi che gustano la musica, la sola arte a loro accessibile! Meglio se sanno suonare uno strumento, magari imparato prima di perdere la vista.

Le persone che leggevano facilmente la musica sono da compatire perché la musicografia Braille si può leggere solo lentamente e tiene occupata una mano. Occorre una pazienza di cieco-nato per apprendere un pezzo di piano misura per misura, toccando alternativamente spartito e tastiera. Dubito che un adulto divenuto cieco si sappia sottoporre a una simile tortura. La musicografia Braille, derivando dalla notazione ideata da Rousseau, e di cui fa attualmente uso la scuola Galin-Paris-Chevè, è estremamente rimarchevole. Essa è più razionale della scrittura musicale usuale, non occupa molto spazio e costa poco. Ma è utile solo ai ciechi nati, eccetto casi eccezionali.

Se si è dotati si può trovare piacere ad improvvisare. Si possono imparare dei pezzi a memoria con l’aiuto di un vedente o del fonografo.

 

Giochi (122)

Domino, scacchi, dama, carte: basta che il cieco abbia una memoria passabile. Se la memoria è eccellente la difficoltà è nulla perché i grandi giocatori di scacchi giocano senza vedere. L’avversario è solo in presenza della scacchiera ed esegue alternativamente i propri colpi e quelli di grande giocatore (?). Io ho memoria pessima e non riesco a raffigurarmi la scacchiera.

Le scacchiere per ciechi hanno fori per facilitare il posizionamento dei pezzi. Semplici marchi servono a identificare i bianchi e i neri. Meglio che il partner usi una seconda scacchiera (?). ciechi e vedenti possono facilmente giocare a carte, se queste hanno invisibili puntini. Esistono strumenti per micropunzonare le carte da gioco. Biliardo.

 

Tabacco (124)

Anche se non vedono il fumo i ciechi sentono se la sigaretta, il sigaro o la pipa sono accesi. Portaceneri adatti per prevenire incendi e anche tascabili. Spesso un sigaro gli serve per misurare un intervallo di tempo quando non vuol far vedere che guarda l’ora.

 

Memoria e mnemotecnica (126)

Ha conosciuto contadini analfabeti con memoria prodigiosa. Si ricordavano degli andamenti atmosferici delle varie stagioni. Sapevano le date esatte dei minimi avvenimenti della loro vita, forse incrostati nel loro cervello. La situazione dei ciechi nati di non poter prendere appunti, il loro di isolamento è analogo al monotono lavoro sui campi degli analfabeti. Per questo anche molti ciechi hanno una memoria eccellente.

Per i ciechi la memoria è vitale: dove mettere la mano, quanti passi fare, quanti gradini. Prima di scrivere devono avere la frase completa perché non possono cancellare niente. Devono ricordare quello che si è messo nelle pagine precedenti per poter fare una redazione conseguente, senza rapportarsi a quanto già scritto.

Con poca memoria il compito di scrivere per un cieco diviene penoso e il libro perde in precisione e in vivacità. La sua disavventura e la sua smemoratezza lo hanno portato a fare uno studio speciale su come i ciechi sbrogliano questi problemi. La scrittura a punti è una risorsa inestimabile, idem le tavolette tascabili. Occorre però ordine e metodo.

Cercare di migliorare la propria memoria è una cosa illusoria e chimerica.

Nel 1862 ha assistito a brillanti conferenze di un uomo straordinario, Aimè Paris, sulla sua mnemotecnica. Ecco il quadro 10 x 4 (che somiglia a Barbier). Prima riga Braille, seconda cifre in caratteri arabi, terza e quarta rispettivamente suoni duri e dolci, per costruire frasi bizzarre da associare a date e numeri di telefono. Tanto più è barocca, grottesca, ridicola la frase tanto più la si ricorda. È una cosa analoga alla tavola per ricordare le province francesi o la tavola pitagorica. Vedremo che la mnemotecnica può servire di base alla stenografia. Le consonanti mute sono considerate inesistenti. C’è una grande scelta di parole per ricordare un certo numero.

Formule semplici per sapere il calendario perpetuo (tipo codice fiscale).

Filastrocche sui mesi dell’anno. Bisogna aggiungere cifre caratteristiche…

 

Esperanto (134)

Samenhof, volapuck, poliglotti. Per i ciechi è capitale non dover usare dizionari.

Esperanto più utile per i ciechi che per i vedenti. Lui legge correntemente tedesco, inglese e italiano e decifra spagnolo, portoghese e olandese. Monnier. Poter tradurre l’Amleto in esperanto. Prof. Cart. Grammatiche esperantiste.

 

Matrimonio (138)

Il matrimonio tra ciechi non ha controindicazioni per i discendenti. La cecità ereditaria è molto rara. Solo per i ciechi che hanno perduto il nervo ottico si impone qualche cautela.

Più facile che si sposino (con contratto?) più maschi ciechi che cieche: bel romanzo I murati di Descaves. Pietà muliebre. Wilhelm. Farsi consigliare sull’aspetto della sposa?

 

Il sesto senso (142)

Detto anche senso degli ostacoli. Ha raccolto delle informazioni che spera di integrare con quanto i lettori di questo capitolo (che ha esitato a inserire) gli vorranno comunicare.

Tutti hanno visto scolaresche cieche scorrazzare tranquillamente. In un corridoio sanno se una porta è aperta. Costeggiando un palazzo contano le finestre del pianterreno, una cosa che fa pensare al volo dei pipistrelli studiati da Spallanzani. A cominciare da Diderot tutte le biografie dei ciechi menzionano questo senso degli ostacoli. I ciechi dicono che l’hanno localizzato nella fronte e non nelle mani. Non può trattarsi di pressione d’aria perché dicono che la percezione è più netta allorchè si avvicinano lentamente all’oggetto la cui sensazione facciale rivela loro la presenza. Certi ciechi dicono che è una sensazione imprecisa. A volte è un miraggio, tanto che si fermano per un presunto ostacolo.

Non si è d’accordo su questi fenomeni, per alcuni è un fatto acustico, per altri il timpano è un ricevitore non uditivo, altri parlano di effetto neve. Evitano gli alberi, sentono a due metri la presenza di un muro. Uno ha indovinato la presenza di un biliardo. Muovere un foglio è diverso che muovere un grosso libro. Nell’oscurità completa il sesto senso è più fine. Il senso degli ostacoli sparisce in un ambiente molto rumoroso.

Accordatore che cammina da solo, per chilometri. Quando c’è un grande vento egli non sente gli ostacoli e vi sbatte. Il rumore del fogliame soffoca quello dei suoi passi. Con la neve non sente nessuna eco e deve colpire la coscia con la mano per fare qualche rumore che crei l’eco che lo guidi. Lo fece girare su se stesso attorno ad un muro, riconosceva sempre la posizione. Mettendogli un tappeto sotto i piedi egli esitava, ma risolse con questo trucco: “il muro è … dietro di me” (aveva sentito l’eco delle sue prime parole).

Con le pantofole di feltro è difficile orientarsi per casa. Imbert. Ferrari. Durante i temporali percepisce nettamente un lampo ravvicinato prima di sentire il rumore del tuono: forse si tratta di campi elettrici. Caso del cieco Hanks Levy citato da James. Sa dire tutto dell’oggetto che ha davanti: palizzata, muretto, siepe. La direzione del vento non ha influenza. Quando c’è neve percepisce meglio. Gli sembra che sia la pelle del viso l’organo recettore. Solo la faccia possiede questa facoltà. Turando le orecchie la facoltà persiste, coprendosi il viso no. Riesce a capire se la vetrata di una finestra è all’inglese o no (quadretti). Riesce a misurare l’altezza di chi gli sta davanti. Riconosce tutte le sporgenze. Percezione facciale. Con la nebbia la percezione diminuisce. Riconosce anche se una nube oscura l’orizzonte.

Viene da pensare alla celebre conferenza di Lord Kelvin sulle 6 porte della conoscenza. Non si può includere il senso calorico in quello tattile. La sede di queste sensazioni è differente come lo prova una malattia del midollo conosciuta col nome di siringomielia che si manifesta con la perdita della sensazione termica e con la conservazione della sensazione di contatto. Occorre il contatto dei corpi ponderabili per fare nascere in noi le sensazioni uditive, perché il suono non si trasmette attraverso il vuoto. Probabilmente anche l’odore, e naturalmente il tatto si esercitano solo per contatto. Invece per la vista è diverso, perché rende percettibili le vibrazioni di una certa parte dello spettro. Orbene, la nostra pelle è influenzata dalle parti invisibili dello spettro. Il colpo di sole prodotto dalla riverberazione della neve, o per l’arco elettrico, la cui apparizione spesso non è accompagnata da alcuna sensazione di calore, è generalmente attribuito ai raggi ultravioletti. D’altra parte, e questo è quello che ci interessa, i raggi infrarossi producono calore. La nozione di calore raggiante è banale, come davanti al camino o al sole d’inverno, tanto che dobbiamo ripararci.

Se la percezione frontale fosse un fenomeno di irraggiamento i soggetti che la possiedono potrebbero aumentarla coprendosi la fronte di nerofumo. Tutti sanno che i vestiti neri ci fanno sentire molto più caldo. Sarebbe interessante studiare se delle radiazioni oscure non giochino qualche ruolo nella percezione degli ostacoli da parte dei ciechi. Il cieco Kilburne aveva la facoltà di percepire le nubi, ma la sua sensibilità facciale al calore era identica a quella media. Turandogli le orecchie fu dimostrato che il suo sesto senso era di natura uditiva.

Nell’embriogenia la retina deriva dall’epitelio cutaneo. Sensibilità della fronte ai raggi emessi dal radium? Se ne è parlato molto, ma è stato un fiasco.

Credeva che il senso degli ostacoli fosse prerogativa dei ciechi nati, quando il sig Leon gli fece leggere James: la membrana del timpano risente delle differenze di pressioni della atmosfera esterna, differenza che non si può considerare un rumore. Avvicinando un grosso oggetto ad un cieco seduto questi ne percepisce la presenza o la sparizione. Riesce a distinguere il grado di opacità di una griglia, una tavoletta o un setaccio. I vedenti non si servono mai di questa percezione ma essa è una sensazione non dovuta a educazione dei sensi. Si percepisce nettamente l’assenza di limitazione dello spazio, il cielo blu. Avvicinando un oggetto al nostro orecchio sentiamo immediatamente un senso di prigione, restringimento (contrazione); se questo oggetto viene ritirato ci sentiamo disimpegnati (sganciati) e in presenza di uno spazio libero. Chiunque si prenda la briga di osservarla capirà che si tratta di un apprezzamento vago dell’estensione. La prova che questa sensazione è più tattile che acustica sembra risultare dal fatto che un medico, amico di James, quasi sordo da un orecchio, benchè con i due timpani normali, sente la presenza o la sparizione di un oggetto da entrambi i lati.

Javal consiglia di studiare questo fenomeno sperimentando con vari oggetti, certamente queste ricerche porteranno a risultati di utilità pratica.

 

Psicologia del cieco (155)

L’egoismo e la vanità sono i principali motori dell’azione umana; nel cieco questi difetti a volte sono eccessivi perché egli pensa più a se stesso essendo disarmato. Orgoglio. Il cieco riflette, rumina troppo. A volte è molto saggio e buon consigliere. Sono religiosi. In contatto col Dio invisibile. Korolenko. Descaves. Monnier. Jurin. Cheselden. Impressioni di un cieco che vede la luce dopo un’operazione. Romanzo di un cieco di Defau. Guilbeau Galeron de Calonne cieca-sorda ha scritto una bella e serena poesia.

Che il cieco sia più felice del sordo è un pregiudizio: se ci appare sorridente è perché lo vediamo nel momento in cui la voce lo consola. Il sordo è cupo perché lo si vede quando è privo della parola degli uomini. Alfred de Vigny: la sordità non spezza la carriera di un uomo come fa la cecità. Il sordo può permettersi di essere burbero, il cieco deve essere amabile.

La Galeron comunicava con suo marito con i segni Morse, anche all’insaputa degli infermieri e anche a distanza, mediante lo scuotimento di un tavolo. Per essa la relazione con la gente avveniva solo per contatto. Ha acquistato una memoria straordinaria della natura delle diverse mani, con le quali arriva a riconoscere una persona anche dopo parecchi anni. Una delle sue figlie ha avuto l’idea di parlare nella mano e lei arriva ad afferrare qualche parola, probabilmente sentendo i movimenti delle labbra e dell’aria espirata.

Gli uomini di scienza portano la loro pietra all’edificio della civilizzazione e del progresso. Il cieco che può farlo sente in questo un ardore maggiore di quello che avrebbe se le armi non gli mancassero. Ecclesiaste.

 

Appendice – Modo di accelerare la lettura (p. 168)

(La scrittura fonetica di Barbier è una scrittura da analfabeti?)

Questo libro cadrà certamente nelle mani di qualche amico dei ciechi preoccupato di migliorare i libri destinati ai ciechi. Scrivo questo capitolo per lui: possa essere letto da un matematico che sia anche fisiologo, da un filologo e da un tipografo! Forse troveranno delle indicazioni sui perfezionamenti di cui sono suscettibili i libri in rilievo.

Se la scrittura Braille è criticabile essa condivide questa sorte con la scrittura usuale, con i caratteri tipografici e con la partitura musicale. Non c’è dubbio che queste notazioni impiegate dai vedenti sono protette da una routine secolare, così inveterata che sarebbe temerario attaccarla. Per esempio lo spartito sul pentagramma è un’assurdità, che tuttavia ha resistito agli sforzi di Rousseau, Paris, Galin, Chevè e i loro successori. Sarebbe ragionevole invece adottare per il pianoforte la doppia di tre linee del celebre generale Reffye dove si scrivono due ottave con ciascuna mano (ne deriva la soppressione delle chiavi e, per i principianti, una facilità di lettura incomparabile).

Per i libri dei ciechi la situazione è diversa perchè, essendo il numero dei libri Braille molto ridotto, l’adozione di una scrittura più razionale avrebbe solo piccoli contraccolpi. Le indicazioni che seguono sarebbero poi utili per le lingue dove l’ortografia è più bizzarra, come l’inglese e il francese.

Lo scopo delle mie osservazioni è rendere la lettura più rapida, e preparare il cieco alla pratica della stenografia. Da un lato bisognerebbe usare caratteri più riconoscibili e dall’altro diminuire il numero di caratteri di cui è composta una parola. Il primo è un problema tipografico, tutto sommato risolvibile; il secondo molto più complesso.

 

Riforma tipografica (165)

I ciechi-pervenuti riconoscono meglio le difficoltà della lettura a punti. Parole come perequation sono intasate di punti (i ciechi-nati non se ne accorgono); all’opposto gli scritti abbreviati presentano confusione per l’accumulo di segni formati da un troppo piccolo numero di punti. Il segno di maiuscola è facile da confondersi con l’inizio della lettera m, o il segno di corsivo. Suggerisce di usare punti più grossi per le maiuscole.

Sostituire i gruppi di punti con piccoli tratti formanti la stessa figura (orizzontali, verticali obliqui, angolati). Di primo acchito questi caratteri sarebbero appena diversi dai punti da cui derivano; ma nei casi dubbi la leggibilità sarebbe migliore (meno confusioni).

Come cambierebbe la scrittura della parola acacia.

Troppo spesso il dito confonde s con t: ciò scomparirebbe usando un tratto orizzontale 2-5

Questa modifica non mancherebbe di rispetto alla memoria di Barbier e Braille perché, se questi uomini hanno usato solo punti, è stato solo per non complicare la scrittura a mano e non per motivi di leggibilità.

È del tutto naturale che la nostra tipografia sia rimasta identica alla nostra manoscrittura. La stessa cosa era avvenuta all’origine della tipografia in nero. Gutemberg copiava pedissequamente i caratteri usati ai suoi tempi: i suoi primi volumi si vendevano come manoscritti. Ma adesso la riforma tipografica è possibile perché lo stampatore non ne avrebbe alcun aggravio.

 

Diminuzione del numero dei segni (167)

Il nostro dito non possiede niente di analogo del movimento saccadè dell’occhio. Per quanto possa essere esercitato il nostro dito vi è una velocità limite oltre la quale tutto si imbroglia (confonde), esattamente come all’occhio è impossibile discernere i raggi delle ruote troppo veloci.

Occorre sopprimere le lettere mute e quelle facili a indovinare e impiegare segni che rappresentino gruppi di suoni: quindi procedimenti del tutto analoghi alla stenografia.

Come Minerva uscì armata dal cervello di Giove, così la nostra scrittura a punti è scaturita dal cervello di Barbier. Per più dettagli rinvio alle due brochure già citate: esse sono da leggere e meditare, e quando si vede che Barbier, da solo, ha trovato il principio ammesso universalmente della maggiore sensibilità del dito per i punti che per le linee, che ha compreso la necessità di raggruppare i punti regolarmente, che ha creato l’utensile di cui ci si serve ancor oggi (punzone, scanalature e tavole perforate) ci si chiederà se non sarebbe stato meglio rispettare anche le idee di Barbier sulla fonografia.

Barbier inizia la sua brochure del 1834 così:

La scrittura di pronuncia è quella che noi pratichiamo sin da prima di aver studiato l’ortografia e la grammatica. Molte persone non ne avranno mai altra”.

Barbier aveva magistralmente dimostrato nel 1820 che per tutti gli analfabeti, compresi i ciechi e i sordomuti, è molto più facile apprendere una scrittura fonetica ben compresa che una scrittura ortografica. All’indomani della celebre legge Guizot, sull’istruzione primaria in Francia, c’era un’enormità di analfabeti. Alla stragrande maggioranza dei bambini si poteva insegnare una fonografia (scrittura da analfabeti), a pochi privilegiati invece la difficile grammatica e ortografia.

Decenni dopo l’eminente pedagogo Robin sperimentava che il metodo più rapido dell’insegnamento della lettura era la fonografia. Anche in Inghilterra, riuniti in una sola classe alunni che erano riusciti a leggere solo monosillabi, si era riusciti a inculcare loro rapidamente la lettura dell’inglese.

A Barbier fu obiettato che la pratica della fonografia nuoceva a quella dell’ortografia. Con molto buon senso e arguzia Barbier rispondeva che la parola è una fonografia per eccellenza e per essere logici i suoi contraddittori avrebbero dovuto interdire la parola ai bambini fino al momento in cui apprendevano l’ortografia.

Quando mi avviene di sostenere queste idee davanti a dei ciechi di riguardo essi credono di rispondermi trionfalmente citando quei giovani che hanno conquistato dei gradi universitari. Io ho fatto indagini su ciascuno di questi privilegiati e, con mia grande sorpresa, ho scoperto che per loro l’ortografia è molto meno utile di quanto si potrebbe pensare. Per esempio uno di loro, divenuto baccelliere con lode, mi ha raccontato che egli era stato autorizzato a dettare i suoi componimenti. Ed è nel dubbio interesse di una mezza dozzina di giovani che si ritarda, nella loro educazione e istruzione, la gran massa dei giovani ciechi.

Quando Barbier ci dota della scrittura a punti egli rinuncia, per ciò stesso, a farci impiegare dei caratteri leggibili dai vedenti. Tra loro e noi scava un baratro.

Tra ciechi e vedenti le comunicazioni erano interrotte e, per anni, soprattutto in Inghilterra, questo grave inconveniente ritarda l’adozione della scrittura a punti, malgrado la sua immensa superiorità tattile. miracolo

Dal momento che la nostra scrittura ci isola diviene inutile imporle gli inconvenienti della scrittura usuale. Barbier non esita: getta a mare l’ortografia e, di colpo, la nostra scrittura diventa molto più facile da apprendere, meno ingombrante e più rapida.

Conosco perfettamente la resistenza ostinata contro la quale si sono sfibrate (fiaccate) le idee di Barbier sull’ortografia. I ciechi hanno la passione (interesse), la parola è troppo debole, essi hanno l’ossessione di non essere differenziati dai vedenti che nel minor numero possibile di circostanze, e tutti quelli con cui ne ho parlato considerano un insulto personale l’idea che si potrebbe non insegnare l’ortografia ai giovani ciechi. Ho ascoltato le loro proteste con la massima attenzione, però le loro ragioni non mi hanno convinto. Essi pretendono, cosa assolutamente falsa, che le persone che non sanno l’ortografia sono esposte a fare legamenti scorretti nel parlare; dicono che una simile ignoranza li mette in stato di inferiorità se devono frequentare delle persone istruite, cosa ancora inesatta. Se la conversazione cade sull’ortografia essi non devono fare altro che tacere, e nessuno potrà indovinare che la ignorano.

La sola circostanza in cui ai vedenti potrebbe rivelarsi l’ignoranza dell’ortografia da parte di un cieco nato sarebbe quella in cui egli scrivesse in nero.

Persisto dunque a pensare che non esiste nessun ragionevole motivo per insegnare l’ortografia, nelle prime classi degli istituti di ciechi, a dei ragazzi che hanno tante altre cose da imparare, cose che i vedenti apprendono senza pensarci, cosicché all’uscita dall’Istituto, dove la loro educazione generale è stata sbarrata dall’ortografia e dalla musica, essi sono del tutto disorientati dopo essere costati al paese più cari dei licenziati in lettere o in scienze. Io sono dell’avviso di riservare lo studio dell’ortografia all’élite, così poco numerosa, dei nostri giovani ciechi, assai dotati per fare, malgrado la loro infermità, degli studi secondari o anche superiori, o a quelli che vogliono diventare dattilografi. Per una circostanza insperata l’élite di cui parlo troverebbe nell’uso della fonografia, durante l’infanzia, una preparazione perfetta all’arte della stenografia, che renderebbe loro reali servigi per gli studi superiori.

Bisogna riprendere la scrittura a punti dal momento in cui fu adottata la cellula di 6 punti e marciare diritto nella strada tracciata da Barbier e da cui si sono allontanati Braille con la scrittura ortografica e Ballu con la stenografia.

Forse l’abbandono della fonografia è imputabile più all’ambiente che a Braille, mentre a lui bisogna attribuire il merito di aver preso per le cifre e per l’alfabeto la sua linea-tipo di 10 segni, tali che ciascuno, compresi i primi tre, resti leggibile isolatamente, poiché i tre segni flottanti che egli ha scelto non possono confondersi tra di loro. È una molto fortunata combinazione, soprattutto per la rappresentazione dei numeri, quella che ha permesso di scrivere nel quadro superiore 10 caratteri impossibili a confondersi. È stata probabilmente la gioia di questa trovata che ha condotto Braille a non mettere che 10 colonne nella sua tavola alfabetica, donde l’inconveniente di lasciare 13 segni fuori di questa tavola, spreco che Barbier non avrebbe commesso.

Un altro errore di Braille fu, nel rispettare l’ordine alfabetico tradizionale, di non conservare le derivazioni logiche di Barbier, il quale, per esempio, ha ben cura di mettere de sotto te e an sotto a. Queste derivazioni logiche hanno il piccolo vantaggio di facilitare lo studio del sistema e il grande merito di essere proficui alla leggibilità. Come ha giustamente sottolineato Dechaux, è molto vantaggioso che dei segni poco differenti rappresentino dei suoni analoghi; è quello che De La Sizeranne ha avuto il grande merito di fare per l’abbreviazione ortografica, dove an e ar richiamano a, in deriva da i, ecc. Al contrario, nell’alfabeto di Braille, non c’è alcuna parentela reale tra i suoni espressi dalla linea tipo e quelli che ne derivano. Il modo di procedere di Braille, accorciando la linea tipo a 10 segni invece di 15 + un bianco, e introducendo una massa di lettere accentate senza grande utilità per il francese e a detrimento dell’applicazione ad altre lingue, ha ingombrato la sua tavola in nero. Così la riduzione del numero dei rettangoli a 50 e l’accumulo di lettere accentate hanno chiuso la porta a quelle derivazioni di cui tra poco vedremo la grande utilità.

 

Sonografia Braille – Questo nome ibrido (metà latino e metà greco) designa un sistema ibrido, alfabetico e al contempo fonografico, che per qualche tempo è stato in uso all’Istituto di Parigi. Ha lasciato solo qualche traccia nella memoria di qualche cieco. Come documentazione presento la tabella che ho potuto raccogliere: segni fonografici in corsivo, che bisogna pensare tracciati coi punti del Braille, e suoni equivalenti (vedi).

Questa sonografia è empirica, non si presta alla trasformazione in stenografia e, giustamente, è stata abbandonata.

Per la “Tavola di Javal” vedi appunti e oltre.

 

Abbreviazione ortografica – Oltre alla sonografia ibrida di cui sopra la lentezza del Braille ha fatto nascere diverse abbreviazioni, tutte illogiche perché intaccano l’ortografia Per essere coerenti i ciechi dovevano creare un’abbreviazione ortografica. Recentemente, nel 1881, Sizeranne e Armitage ne hanno ideato alcune che raggiungono il modesto scopo prefissosi, cioè risparmiare tempo e carta, ma senza intaccare l’ortografia (approfondire). Ecco dunque una scrittura passabilmente rapida che si porta dietro le lettere mute.

Per comprendere la genesi dell’abbreviazione ortografica integriamo la tavola di Braille (50 celle) con gli altri 13 segni non utilizzati (segnati fuori, a destra e con lettere greche).

La maggior parte di questi 13 segni sono sottili (solo su una linea verticale) e corti (spostabili dall’alto in basso) e, in complesso, flottanti nella cellula perché in assenza di riferimenti, e anche nel corpo di una parola, possono essere di riconoscimento incerto.

Nell’abbreviazione ortografica si impiegano i 63 segni della tavola precedente.

Per capire l’abbreviazione ortografica iniziamo a considerare la tavola delle contrazioni (p. 176). Con questa una frase si riduce, però rimangono delle parole intatte. Si ricorre allora alla tavola delle parole abbreviate (le 43 più comuni). Inoltre gruppi di segni speciali servono per altre 147 + 21 parole.

Tutto questo sforzo di ingegnosità riesce ad abbreviare di ¼ o 1/3 la scrittura, ma non ha effetto sulla lettura. Ballu (1902) infatti lo critica e amaramente dice che è un misero innesto su un’iniquità, la bizzarra ortografia francese.

Gli autori delle abbreviazioni si sono trovati nella necessità di attribuire funzioni importanti ai segni di qualità inferiore che Braille aveva scartato (flottanti). In definitiva le abbreviazioni sono tanto vantaggiose per chi scrive quanto perniciose per chi legge.

 

Stenografia di frate Isidoro Clè – La tentazione di abbreviare il più possibile la scrittura ha portato all’abbreviazione metodica dell’abbreviazione ortografica. La stenografia di questo istitutore di Bruxelles è preziosa ai pochi ciechi che intraprendono studi superiori.

 

Stenografia Ballu – È molto ingegnosa, ma non tiene conto delle esigenze delle lingue straniere. Non sembra che Ballu abbia conosciuto i migliori sistemi stenografici in nero e il principale vantaggio del suo sistema diviene illusorio dopo l’invenzione della macchina di Hall. Ballu ha avuto l’idea di rappresentare le lettere più frequenti con i segni più semplici e questo è un grosso vantaggio per prendere appunti manoscritti. Mi si assicura che la leggibilità di questa stenografia è buona. Proprio perché la frequenza delle lettere è diversa da lingua a lingua gli stranieri non possono adottare il sistema Ballu, che fu applicato solo da Sizeranne e i ciechi della sua cerchia. La stenografia Ballu, essendo puramente empirica, è estremamente difficile da ricordare.

 

Utilità della stenografia per i ciechi – Presumibilmente i ciechi non diventeranno stenografi professionisti perché per loro è difficile percepire le circostanze esterne (cornici di Lucidi?) che costituiscono una parte importante delle discussioni che lo stenografo raccoglie sulla carta. D’altra parte il cieco non può trascrivere rapidamente in dattilografia delle note prese in stenografia in punti, avrebbe bisogno di 3 o 4 mani. È vero che spesso gli stenografi dettano a un dattilografo e niente impedisce che uno stenografo cieco faccia lo stesso, ma occorrono due ciechi che lavorino insieme.

Si capisce però che con queste trafile lo scopo della stenografia non viene raggiunto. Checché abbia detto Grosselin io penso che sia senza interesse pratico stabilire una identità tra la stenografia in punti e un sistema qualsiasi di stenografia in nero, perché questa identità potrebbe essere utile solo nell’inverosimile caso di un cieco che volesse corrispondere in stenografia con uno stenografo vedente che avesse assimilato i segni Braille. Meglio prendere la stenografia Aimè Paris per modello.

Il Braille è lento più in lettura che in scrittura. Con le varie macchine il problema della scrittura in rilievo è sufficientemente rapido e ampiamente risolto. La lettura invece è lenta sia con abbreviazioni che con tutte le lettere, a causa dei molti segni sottili. Inoltre la lettura a tutte lettere si fa facendo sparire un gran numero di segni che si indovinano lasciandosi guidare dal senso, dalle prime lettere delle parole e dalla loro lunghezza. Ciò è talmente vero che un lettore esercitato non si accorge di un enorme numero di errori di scrittura se non si trovano all’inizio di parola. Un lettore estremamente rapido, Desagher, mette le dita sull’errata corrige del numero precedente della Revue Braille e ogni volta si stupisce di non essersi accorto di tali errori. Questo indovinare che accelera la lettura a tutte lettere esiste in misura molto minore per i testi abbreviati, perché …

Se si vuole che una stenografia sia leggibile bisogna guardarsi dal riservare i segni sottili per i suoni più frequenti, ma piuttosto bisogna fare al contrario.

Benchè l’economia di carta, di volume e di peso sia una questione secondaria, occorre sottolineare che utilizzando segni sottili questa economia non c’è; avrebbe valore solo per i libri stampati (in punti?).

D’altra parte l’accumulo eccessivo del numero dei punti non mi sembra favorevole al tocco; in un nome proprio io non distinguo facilmente parecchie lettere composte ciascuna di più di 4 punti messe una di seguito all’altra: sarebbe bene arrivare ad una stenografia dove i segni più frequenti non comportassero mai più di 4 punti.

Ripeto ancora che la lentezza del Braille è soprattutto in lettura. Ciò è talmente vero che Lorin, vecchio ingegnere dei telegrafi, cieco da parecchi anni e praticante il Braille per molte ore al giorno, avendo ricevuto una lettera in abbreviazione ortografica se l’è fatta leggere da un familiare per non farmi attendere. Villey, benchè cieco, ha superato l’esame alla Scuola Normale superiore e mi ha confessato il suo imbarazzo quando deve tradurre ad alta voce un testo: non gli è possibile andare a cercare velocemente il verbo alla fine della frase. Anche noti studiosi come Leon, Monnier e Rigenbach concordano su ciò.

La stenografia deve essere leggibile non solo per chi l’ha tracciata ma per tutti i ciechi colti. Dechaux, il più esperto di cose stenografiche (conosce Duployè, Ballu, Flageul, Isidoro Clè e Prevost-Delaunay) cerca di fare una stenografia internazionale.

Io penso che occorre tener il massimo conto dei bisogni della fonografia, mentre, reciprocamente, il sistema fonografico deve essere subordinato, in una certa misura, alla trasformazione di questo sistema in stenografia. Dico “in una certa misura” perché sarebbe increscioso che la considerazione di una stenografia rapida, i cui adepti saranno sempre in numero infimo, nuoccia alla buona disposizione (ordonnance) di una fonografia destinata alla stragrande maggioranza dei ciechi.

 

Stenografia in nero – Da un’inchiesta da me fatta i ciechi non possono servirsi dei sistemi come quelli di Prevost modificato da Delaunay, dove il fonetismo è soppresso dalla prima lezione. Tra le stenografie fonetiche una delle migliori è quella di Aimè Paris che gareggia in velocità con la precedente ed ha l’immensa superiorità di essere molto più facile da apprendere. È applicabile a tutte le lingue europee, e, cosa capitale, la sua struttura è una fonografia trasformabile in stenografia: in altri termini l’allievo impara dall’inizio una stenografia elementare che è una pura fonografia.

L’abate Duploye, il cui metodo è quello più generalmente conosciuto, non ha fatto che modificare i segni grafici di Aimè Paris, cosicché, trascritte in punti, le stenografie elementari Aimè Paris e Duployè coincidono (io: il punto non è un segno grafico?).

Mentre Duployè ha fatto migliaia di allievi, Aimè Paris ha avuto pochi adepti, per così dire nell’intimità, molti dei quali reclutati nei servizi parlamentari.

Alla base della stenografia vi sono due elementi: il grafismo e il sistema di abbreviazioni (v. i testi dei due Guenin). Il grafismo consiste nel sostituire le lettere usuali con dei segni più semplici e l’illustre Conen de Prepean ha scelto linee dritte e curve diversamente inclinate per rappresentare le consonanti, e piccole linee curve per le vocali. Ma poiché il numero delle posizioni delle linee lunghe era inferiore al bisogno egli ha suddiviso le consonanti e le vocali in principali e secondarie.

Alle consonanti dure te, che, ke, fe, pe, se corrispondono le dolci de, je, gue, ve, be, ze

In Conen de Prepean queste ultime 6 consonanti sono rappresentate con gli stessi tratti delle 6 precedenti, ma hanno un piccolo tratto trasversale aggiuntivo (secante) che, richiedendo una levata di penna, rallenta notevolmente la scrittura. Lo stenografo, nella rapidità, sopprime le secanti, cosa che non nuoce molto alla leggibilità perché, grosso modo, la stenografia si allontana dalla fonografia esprimendo delle parole storpiate per difetti di pronuncia; per esempio, in luogo di “Dite buon giorno a Jean” lo stenografo avrà scritto “Tite pongiorno a Chan”.

Per esprimere i suoni nasali vi sono dei segni modificatori delle vocali analoghi alle secanti e che vengono soppressi nella stenografia rapida.

L’aumento di velocità oltre che per la sostituzione di segni semplici a quelli normali si ottiene sopprimendo alcune vocali e le lettere mute, parecchie in francese. Inoltre delle convenzioni permettono di sostituire gruppi di suoni o intere parole con delle sigle.

La stenografia elementare è una fonografia perché basata sul principio: “Ad ogni suono corrisponde un segno, sempre lo stesso”. Quindi per i bambini e gli analfabeti la stenografia elementare è ben più facile da apprendere della scrittura ordinaria. Quelli che hanno appreso questa stenografia con i suoi segni, come le secanti, (anche) lasciandola da parte durante i loro studi si ortografia e grammatica, non dovrebbero fare uno sforzo molto grande quando volessero, con la soppressione delle secanti e l’impiego di segni addizionali, acquistare la pratica di una stenografia rapida. (punto di vista di Javal).

Robin ha trovato molto vantaggioso insegnare ai bambini la stenografia Aimè Paris prima della lettura e scrittura ordinaria. Essi l’apprendono facilmente e subito. In seguito serviva come strumento per lo studio della scrittura e dell’ortografia. Invece di fare dei dettati il maestro scriveva alla lavagna, in stenografia, il testo dei compiti che gli allievi dovevano trascrivere in scrittura ordinaria e questo giro apparente, lungi dall’allungare i tempi dei primi studi, aveva come felice conseguenza l’abbreviazione. È come per l’insegnamento della musica, dove la lettura sullo spartito è appresa ben più velocemente e facilmente se è preceduta dall’acquisizione della lettura musicale in cifre, col metodo Galin-Paris-Chevè.

Verso il 1865, quando Javal seguì alcune sue lezioni, Aimè Paris era già vecchio, quindi è presumibile che nella sua giovinezza abbia conosciuto i lavori di Barbier perché la somiglianza delle loro idee non può essere dovuta al caso.

È ovvio che questa fonografia è lungi dal dare tutte le sfumature della pronuncia: ad esempio non fa alcuna differenza tra ò e ó. Se sono bene informato, secondo i lavori di Passy, una tavola (tavolozza) fonografica completa comporterebbe più di 150 segni.

Trascrizione delle articolazioni della linea tipo, con sotto quelle derivate, per le varie lingue (elenco anche delle parole italiane esemplificative di 14 suoni base + 7 derivati).

Per l’esperanto la stenografia è più difficilmente applicabile (conoscenza imperturbabile).

Viceversa avrebbe il pregio di evitare ridicoli errori di pronuncia (Sakespeare).

 

Adattamento (di Javal) della stenografia Aimè Paris – Una fonografia in punti si può fare usando come linea tipo le 15+1 combinazione dei primi 4 punti della cellula Braille. Aggiungendo sotto le altre tre linee derivate si arriva a un totale di 63+1 segni.

Naturalmente le cellule perdono il loro significato usuale, ad eccezione di quello numerico delle prime 10. Per evitare accumuli in una colonna (la sesta) è meglio scegliere una consonante primitiva in più (e una vocale in meno) in modo che bastino due linee (anche per la fonografia internazionale bisogna scendere a compromessi di questi tipo).

Prima di adottare 10 consonanti tipo (primitive) invece delle 9 di Aimè Paris ho consultato Guenin, stenografo revisore del Senato e conservatore titolare e competente della tradizione Aimè Paris. Guenin che era stato per ragioni di grafismo che Aimè Paris aveva preso 9 segni tipo per rappresentare le consonanti. Pur rispettando il maestro Javal non ritiene valida questa ragione e adotta senz’altro 10 consonanti-tipo-primitive.

Per quanto riguarda l’ordine da dare a queste consonanti Javal ricorre alla mnemotecnica di Paris. Mettendo in ultimo lo zero si ha:

 

te  ne  me  re  le    che  que  fe  pe  se    a  e  i  o  ou   (zero)

 

Sceglie ou invece di u perché questa vocale in molte lingue manca. Le due vocali che devono essere più facilmente riconoscibili sono a e o e per questo ognuna è di due punti.

Inoltre se per le vocali si sono impiegati segni sottili è perché la lettura esatta della vocale ha un grado di importanza secondario, tanto che in Inghilterra certi stenografi negligenti trascurano di scriverle del tutto. Si può sperimentare che se in una frase si tolgono tutte le vocali e si sostituisce un segno qualsiasi (x) si riesce in genere a indovinare la frase. Se invece si eliminano le consonanti il testo rimanente è meno leggibile (Garabalda…).

Abbreviazione simile ai segni metagrafici (?).

I segni disponibili si utilizzeranno per la punteggiatura.

La 2a linea è quella con i due punti e non con uno solo (3a e 4a), volutamente.

Trapezizzando la cellula si punzonano più velocemente i punti centrali.

Nel caso di stampa i punti 3 e 6 potrebbero essere sostituiti con un trattino.

Quanto precede non è che un punto di vista di Javal per stimolare la discussione.

 

Depoin: Adattamento della stenografia Duploye – L’ordine di classificazione dei segni adottato da Braille non è né razionale né mnemotecnico. È meglio scegliere il criterio della complicazione e andare dal semplice al complesso. Alle vocali, che precedono filologicamente, punti semplici; frequenza lettere. Sinfoni sonografici. Consonanti forti e deboli, pronuncia addolcita, metagrafia, grado di forza. Vocali-radici. Compatibilità tra ciechi e vedenti. ecc.

 

Stenografie straniereJaval non è competente e si scusa della lacuna.

 

Modifica ed estensione della fonografia Barbier – Cambiando la cella di Barbier da 2x6 a 2x3 la lettura al dito sarà più facile, ma l’apprendimento sarà leggermente più lungo

Riscrive la frase choz util ecc. con celle di questo tipo (in cui non è usato il punto 2 perché quello più difficoltoso a punzonare).

La sonografia Barbier ridotta a 3 punti di altezza dà una scrittura concisa almeno quanto l’abbreviazione ortografica e più netta sotto il dito, perché usa un solo segno sottile.

Includendo lo zero ogni colonna dà 8 combinazioni quindi in totale 8x8 = 63+1.

Da questa tavola teorica possono nascere infinite tavole in punti. Problemi di grafismo suggeriscono scelte omogenee e compatibili per ciechi, stenografi e poliglotti.

Poiché l’allievo deve imparare a memoria la tabella in nero i suoni devono essere disposti con una certa logicità, privilegiando però sempre la buona leggibilità.

 

Prima tavolozza Javal (p. 201). I segni sottili sono tassativamente esclusi dalla rappresentazione delle consonanti. Quindi grande sicurezza per il lettore e guadagno di tempo per separare le parole da parte dello scrittore. Eliminare vocali inizio/fine…

 

Seconda tavolozza Javal – Più ricca di suoni e con disposizione diversa. Consigli per impararla a memoria. Chiamiamo segno di sinfono tutti quelli che esprimono più di una articolazione. Le lettere nasali l ed r sono più sinfone delle altre. Problemi delle lingue slave, parole intasate di consonanti. Sinfoni impronunciabili. Diminuire una parte degli intervalli tra le parole.

 

Opuscolo sull’insegnamento della lettura (tipo fonografia).

Chi si interessa di stenografia si metta in contatto con l’accordatore di pianoforti Dechaux

Per quella internazionale e per l’esperanto con Monnier. Seguono indirizzi utili.



[1] Javal è stato il traduttore francese di Helmholtz.

[2] Alla Lucidi!