36 – La legge di Buccola

    

Il cap. XIII dell’opera principale di Gabriele BuccolaLa legge del tempo nei fenomeni del pensiero” (Milano, 1883 e Bologna, 1984) è consacrato al “senso del tempo”.

A Tubinga (Vierordt) o a Lipsia (Wundt, Kollert) si erano già fatte classiche ricerche sperimentali sulla riproduzione di intervalli temporali, trovando forse anche delle leggi, come per esempio quelle relative al punto neutro (circa 0,7 sec), al di sotto del quale si commetterebbero errori positivi e al di sopra negativi.

Buccola invece, a differenza di Vierordt, Mach o Kollert, indagò la “coscienza o stima dell’errore personale”, studiando a tal fine gli apprezzamenti di tempo senza riferirli ad intervalli costanti prestabiliti e tenuti innanzi alla mente come modelli da imitare. Misurò, per esempio, la durata della pronuncia vocale di una parola e la durata della corrispondente pronuncia mentale, calcolando con scrupolo certosino valori massimi, minimi e variazioni medie.

Cercando quindi quel “senso speciale interno di misurare la successione di fenomeni esteriori” trovò che gli errori sono proporzionali alle grandezze delle durate, ossia il senso del tempo si fa meno preciso a misura che dobbiamo apprezzare quantità di tempo maggiori. La curva degli errori ossia il diagramma delle variazioni in funzione del tempo (vedi immagine) sintetizza questa “legge di Buccola”.

Enrico Morselli, dopo la morte di Buccola, riprese o continuò queste ricerche in un lavoro sul sentimento dello sforzo apparso nel 1886 nella Rivista di filosofia scientifica. Allineandosi però alle idee correnti - ad esempio The feeling of effort di W. JamesMorselli sminuì l’importanza data da Buccola al senso muscolare, nonché la scoperta (quasi sicuramente del Buccola) che le lunghezze più comunemente adoperate nella vita quotidiana (ad esempio 5, 10, 20 cm) sono mentalmente più stabili e precise di quelle più desuete (ad esempio 7, 11, 17 cm).

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