BE 20 – La banderuola di Barletti (22.1.2008)

 

All’università di Pavia, alla fine del '700, insegnavano tre valenti scolopi: Gregorio Fontana, Martino Natali e Carlo Barletti. Dirò telegraficamente qualcosa di quest’ultimo – il cui nome purtroppo spesso è stato storpiato, anche dal sottoscritto, in Bertelli o Bartelli – perché è una figura cardine nel panorama delle ricerche di elettricità e delle dispute scientifiche di quegli anni, rimandando chi volesse approfondire, non tanto ai suoi testi, di difficile reperibilità, ma almeno all’ottima scheda, curata dal Cappelletti, del Dizionario Biografico degli italiani.

Barletti era uno sperimentatore indefesso che a forza di lavorare con le macchine elettriche, le quali esalavano forti odori di fosforo o di zolfo (specie dalle “punte”, come vedremo avanti), ne ebbe tanto logora la salute che dovette abbandonare la sua cattedra (gli subentrò Volta).

Nelle idee di Barletti c’è un gran disordine: prima fu frankliniano convinto, accettò la teoria del “fluido unico” e dedicò la sua opera principale a Beccaria (da lui soprannominato “Attila della scienza”); poi passò al Symmer (e al Volta) parteggiando, come spiegò nei suoi “Dubbj”, per la teoria rivale dei “due fluidi”, appoggiata a deboli fatti sperimentali come gli squarci a labbra rovesciate causati da un fulmine sulla banderuola di una chiesa di Cremona (vedi immagine).

Avendo scoperto che l’elettricità resinosa (vedi BE 18) è ben 10 volte più attiva di quella vitrea macerò la sua salute a chiedersi come era possibile, ad esempio, che Franklin la definisse negativa o “in difetto”.

Anche se non sono più “di moda”, si tratta, si badi, di problemi ancora aperti.

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