Questo Atomo AG 20

è uno strumento di lavoro – non di semplice consultazione – per poter studiare l’opera di Macedonio Melloni, lo scienziato italiano che nel 1834 fu insignito della medaglia Rumford, il “premio Nobel” dell’ottocento, e si acquistò, senza purtroppo poterla mantenere, fama europea non inferiore a quella di Volta, Faraday o Newton.

In rete è abbastanza semplice trovare notizie biografiche di Melloni, cominciando per esempio dalle pagine web di Antonio Comi che, tra l’altro, contengono una esauriente bibliografia su quanto è stato scritto su di lui. Altri preziosi strumenti di lavoro, anche questi relativamente facili da reperire, sono poi il carteggio del Melloni, curato da Edvige Schettino (Olschki, Firenze, 1994), con la dettagliata bibliografia melloniana, e l’articolo Macedonio Melloni e l’Osservatorio vesuviano, di Donatella Pierattini e Paolo Gasparini, pubblicato in Le Scienze, n. 333, 5/1996.

Invece, purtroppo, manca una raccolta delle numerose opere del Melloni, disperse in riviste di difficilissima reperibilità o addirittura introvabili, ad esempio Il Progresso delle scienze, delle lettere e delle arti, edita a Napoli per una trentina d’anni a metà ottocento (spero che gli storici Federico Di Trocchio e Marta Fattori, che ho cercato di sensibilizzare al problema, possano scovarne qualche copia). Cinquant’anni fa c’è stata, sì, la ristampa anastatica, a tiratura limitatissima, della melloniana Termocrosi, o “colorazione del calore”, ma fu solo un libro celebrativo, oserei dire una strenna senza utilità scientifica – anche, e forse soprattutto, perché in francese.

Il risultato, un po’ paradossale, di questo stato di cose è che del Melloni forse si conoscono più le carte private che le pubblicazioni, sintomo eloquente che la scienza ufficiale dà per scontate, e quindi svaluta e banalizza, le geniali scoperte del Mellonitermologo” o “meteorologo” (G. Imbò), e ignora del tutto, o peggio disconosce, i suoi ancora più importanti, a giudizio di chi scrive, contributi di “elettricismo”, quelli che il Nostro fece in tempo a licenziare prima di incappare negli “artigli del colera”.

In questo Atomo vengono allora recuperati, anzi riscoperti, tali scritti, e precisamente: sul parafulmine, sull’induzione laterale (fenomeno da cui ebbe poi origine il moderno concetto di autoinduzione), sulla velocità delle correnti elettriche (nei fili telegrafici), sull’induzione elettrostatica (e sull’elettricità all’epoca detta “dissimulata”) e su un elettroscopio di nuova concezione. Come appendice vengono anche riesumate alcune pagine coeve (relazioni accademiche e necrologi) utilissime a lumeggiare la statura di Melloni, gli ostracismi dei molti detrattori e le incomprensioni degli stessi fedelissimi, come il Nobile o il Volpicelli, che – essendo “fisici” e non “elettricisti”, vale a dire “telegrafisti” o, come diremmo oggi, “elettrotecnici” o “ingegneri” – travisarono il nuovo, o presunto, “Teorema fondamentale sull’induzione elettrostatica di Melloni.

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